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Mito di Pan

Mito di Pan
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Sono numerose le leggende che si narrano attorno alla figura del dio Pan. Alcuni affermano che fosse figlio di e di Callisto altri di e della ninfa Driope (o Penelope) che, subito dopo averlo messo al mondo, lo abbandonò tanto era rimasta inorridita dalla sua bruttezza. Era infatti Pan, più simile a un animale che a un uomo in quanto il corpo era coperto da ispido pelo; dalla bocca spuntavano delle zanne ingiallite; il mento era ricoperto da una folta barba; in fronte aveva due corna e al posto dei piedi aveva due zoccoli caprini.

Mito di Pan: Pan e Dafni - statua di marmo collezione farnese
Pan e Dafni Eliodoro (III-II sec. a.C.)
marmo, copia romana di un originale greco, Collezione Farnese,Museo archeologico nazionale, Napoli (Italia)

Ermes, impietosi da questo bambino al quale la natura non aveva certo fatto dono di alcuna grazia, decise di portarlo nell'Olimpo al cospetto degli altri dei, dove, nonostante il suo aspetto, fu accolto con benevolenza. Pan infatti aveva un carattere gioviale e cortese e tutti gli dei si rallegravano alla sua presenza(2). In particolare lo accolse con maggior entusiasmo tanto che divenne uno dei suoi compagni prediletti e insieme facevano scorribande attraverso i boschi e le campagne rallegrandosi della reciproca compagnia.

Flauto di Pan

Pan era fondamentalmente un dio silvestre che amava la natura, amava ridere e giocare. Amò e sedusse molte donne tra le quali la ninfa Eco e Piti, la dea Artemide e Siringa, figlia della divinità fluviale Ladone, della quale si innamorò perdutamente. La fanciulla però non solo non condivideva il suo amore ma quando lo vide fuggì inorridita, terrorizzata dal suo aspetto caprino. Corse e corse Siringa inseguita da Pan e resasi conto che non poteva sfuggirgli iniziò a pregare il proprio padre perchè le mutasse l'aspetto in modo che Pan non potesse riconoscerla. Ladone, straziato dalle preghiere della figlia, la trasformò in una canna nei pressi di una grande palude.

Pan, invano cercò di afferrarla ma la trasformazione avvenne sotto i suoi occhi. Afflitto, abbracciò le canne ma più nulla poteva fare per Siringa. A quel punto recise la canna, la tagliò in tanti pezzetti di lunghezza diversa e li legò assieme. Fabbricò così uno strumento musicale al quale diede il nome di "siringa" (che ai posteri è anche noto come il "flauto di pan") dalla sventurata fanciulla che pur di non sottostare al suo amore, fu condannata a vivere per sempre come una canna.

Narra Ovidio (Metamorfosi): «Pan che, mentre tornava dal colle Liceo, la vide, col capo cinto d'aculei di pino, le disse queste parole...». E non restava che riferirle: come la ninfa, sorda alle preghiere, fuggisse per luoghi impervi, finché non giunse alle correnti tranquille del sabbioso Ladone; come qui, impedendole il fiume di correre oltre, invocasse le sorelle dell'acqua di mutarle forma; come Pan, quando credeva d'aver ghermito ormai Siringa, stringesse, in luogo del suo corpo, un ciuffo di canne palustri e si sciogliesse in sospiri: allora il vento, vibrando nelle canne, produsse un suono delicato, simile a un lamento e il dio incantato dalla dolcezza tutta nuova di quella musica: «Così, così continuerò a parlarti», disse e, saldate fra loro con la cera alcune canne diseguali, mantenne allo strumento il nome della sua fanciulla».

Pan che suona il flauto, Affresco, Reggia di Caserta (Italia)
Pan che suona il flauto, Affresco, Reggia di Caserta (Italia)

Da allora Pan tornò a vagare nei boschi correndo e danzando con le ninfe e a spaventare i viandanti che attraversavano le selve: al dio infatti si attribuivano i sordi rumori che si udivano la notte (da qui il detto "timor panico" o semplicemente "panico").

Ecco come lo scanzonato Luciano (Dialoghi VIII) lo descrive:

«Pane (N R. alias Pan). Buon di, o babbo mercurio
Mercurio. Buon di; ma, come io ti sono padre?
P. Non sei tu il Cilennio Mercurio?
M. Si, sono; ma come tu mi se' figliolo?
P. Sono tuo bastardello, e nato d'amore
M. Per Giove! bastardo forse di un becco e di una capra. Tu, mio, se hai le corna, e cotesto naso, e la barba
irsuta, e i piè forcuti e caprini, e la coda sulle natiche?
P. Con queste ingiurie che dici a me tu dimostri la bruttezza del figliol tuo, o padre. le stariano meglio a te,
che sai far figlioli di questo garbo. Che colpa ci ho io?
M. Chi tieni tu per madre? O mi sarei accozzato con una capra io?
P. Non una capra, ma ricordati bene, se mai in Arcadia facesti violenza a una fanciulla libera. Ti mordi il dito:
che cerchi? e non ricordi? la figliuola d'Icaro, Penelope.
M. E perchè ella ti fece non simile a me, ma ad un caprone?
P. Ti dirò proprio io le parole sue. Quando ella mi mandò in Arcadia, mi disse: O figliuolo, io sono tua madre
penelope Spartana; e sappi che hai per padre il dio Mercurio, prole di Maia e di Giove.
Se tu hai le corna ed i piedi forcuti, non dispiacertene; perchè quando tuo padre mescolossi con me,
per nascondersi, prese la somiglianza di un capro; e però tu se' venuto simile ad un capro.
M. Per Giove. Mi ricordo di una certa scappata. Dunque io che vo superbo per bellezza, e sono ancora imberbe,
sarò chiamato tuo padre, e a mie spese farò ridere la gente per si bella figliolanza.
P. Io non ti fo vergogna, o padre; chè io son musico, e so sonar la siringa molto bravamente.
Bacco non può far nulla senza di me, e mi ha fatto suo compagno ed agitatore del tirso, ed io gli guido i balli.
Se tu vedessi le greggie mie, quante ne ho in Arcadia e sul Partenio, ne saresti assai lieto.
Io sono signore in tutta Arcadia. Ultimamente porsi un grande aiuto agli Ateniesi, e combattei con tanto
valore a Maratona, che in premio mi diedero una spelonca sotto la cittadella. Se talora vieni in Atene,
vi udirai chi è Pane.
M. Dimmi, hai tolto moglie, o Pane? così mi pare che ti chiamino
P. No, o padre: io sono focoso, e non sarei contento di una
M. E certamente abbranchi le capre
P. Tu motteggi, io mi sollazzo: con Eco, con Piti, e con tutte le Menadi di Bacco: e le mi vogliono un gran bene.
M. Sai, o figliuolo, che cosa mi farai graditissima, e che io richiedo da te?
P. Comanda, o Padre: vediamo
M. Vieni a me, ed abbracciami pure; ma guardati di chiamarmi padre innanzi agli altri».

Note

  1. Nella mitologia latina, Pan è identificato con Fauno, dio della campagna e dei boschi
  2. Da qui taluni interpreti derivano il nome di Pan; in greco infatti l'aggettivo Pan significa tutto

Fonti bibliografiche

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