Mito di Orfeo ed Euridice
Orfeo ed Euridice
Federico Cervelli (1625 – 1700), Fondazione Querini-Stampalia, Venezia (Italia)
Orfeo, il più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto, che non aveva eguali tra uomini e dei era figlio di Eagro, re della Tracia e della musa Calliope (o secondo altri di Apollo e di Calliope).
Il Dio Apollo un giorno gli donò una lira e le muse gli insegnarono a usarla e divenne talmente abile che lo stesso Seneca narra (Ercole sul monte Oeta): «Alla musica dolce di Orfeo, cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto (...)».
Acquistò una tale padronanza dello strumento che aggiunse anche altre due corde portando a nove il loro numero per avere una melodia più soave.
Orfeo suona la lira
Mosaico pavimentale romano, II secolo d.C., Museo archeologico, Palermo, Sicilia (Italia)
Come prima grande impresa Orfeo partecipò alla spedizioni degli Argonauti (1) e quando la nave Argo giunse in prossimità dell'isola delle Sirene, fu grazie a Orfeo e alla sua cetra che gli argonauti riuscirono a non cedere alle insidie nascoste nel canto delle sirene.
Ogni creature amava Orfeo ed era incantata dalla sua musica e dalla sua poesia ma Orfeo aveva occhi solo per una donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride che divenne sua sposa. Il destino però non aveva previsto per loro un amore duraturo infatti un giorno la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei e cercò di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mise a correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la morsicò, provocandone la morte istantanea.
Narra Pindemonte (Epistole: "A Giovani Pozzo"): «Tra l'alta erba non vide orrido serpe che del candido piè morte le impresse».
Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa decise di scendere nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Convinse con la sua musica Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige; il cane Cerbero e i giudici dei morti a farlo passare e nonostante fosse circondato da anime dannate che tentavano in tutti i modi di ghermirlo, riuscì a giungere alla presenza di Ade e Persefone.
Orfeo ed Euridice 1511
Tiziano Vecellio, Accademia Carrara, Bergamo (IT)
Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie erano così piene di dolore e di disperazione che gli stessi signori degli inferi si commossero; le Erinni piansero; la ruota di Issione si fermò e i perfidi avvoltoi che divoravano il fegato di Tizio non ebbero il coraggio di continuare nel loro macabro compito. Anche Tantalo dimenticò la sua sete e per la prima volta nell'oltretomba si conobbe la pietà come narra Ovidio nelle Metamorfosi (X, 41-63).
Fu così che fu concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole.
Narra Ovidio nelle Metamorfosi (X, 41-63). «(...) Nè la regale sposa, nè colui che governa l'abisso opposero rifiuto all'infelice che li pregava e richiamarono Euridice. Costei che si trovava tra le ombre dei morti da poco tempo, si avanzò, camminando a passo lento per causa della ferita. Il tracio Orfeo la riebbe,a patto che non si voltasse indietro a guardarla prima di essere uscito dalla valle infernale (...)».
Orfeo, presa così per mano la sua sposa iniziò il suo cammino verso la luce. Durante il viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente pensando di condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta si voltò a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto Euridice svanì, e Orfeo assistette impotente alla sua morte per la seconda volta.
Euridice e Orfeo Pittura murale I sec. d.C.
Racconta Ovidio nelle Metamoforsi (X, 61-63): «Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo amata? Porse al marito l'estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e ripiombò di nuovo nel luogo donde s'era mossa».
Invano Orfeo per sette giorni cercò di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore degli inferi ma questi per tutta risposta lo ricacciò alla luce della vita. Si rifugiò allora Orfeo sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Rifiutava le donne e riceveva solo ragazzi e adolescenti maschi che istruiva all'astinenza e sull'origine del mondo e degli dei.
La testa di Orfeo (1890),
Gustave Moreau (1826-1898)
Musée Moreau, Parigi (Francia)
Una scuola di pensiero(2) vuole invece che Orfeo dopo la discesa nell'Ade e viste le "cose di laggiù" inizio ad adorare Elio (che chiamava Apollo) e non più Dioniso e ogni mattina si svegliava all'alba per accogliere il sorgere del sole. Allora Dioniso istigò le Baccanti (3) che decisero di ucciderlo durante un'orgia bacchica. Arrivato il momento stabilito, si scagliarono contro di lui con furia selvaggia, lo fecero a pezzi e sparsero le sue membra per la campagna gettando la testa nel fiume Ebro.
Esistono altre versioni della morte di Orfeo: si narra che fosse stato Zeus a folgorarlo irritato dal fatto che rivelasse dei misteri che non dovevano essere di pubblico dominio; secondo altri fu Afrodite a istigare le donne Tracie e a suscitare in loro una tale passione che mentre se lo contendevano lo squartarono questo perchè Calliope, la madre di Orfeo, fu chiamata come giudice da Zeus per dirimere una disputa tra Afrodite e Persefone per avere le attenzioni di Adone che sentenziò che il giovane stesse per sei mesi con Afrodite e sei mesi con Persefone cosa che aveva fatto infuriare Afrodite.
Disse Virgilio (Georgiche, IV): «(...) Anche allora, mentre il capo di Orfeo, spiccato dal collo bianco come marmo, veniva travolto dai flutti, "Euridice!" ripeteva la voce da sola; e la sua lingua già fredda: "Ah, misera Euridice!" chiamava con la voce spirante; e lungo le sponde del fiume l'eco ripeteva "Euridice».
Quale che fosse il modo come Orfeo morì è certo che ogni essere del creato pianse la sua morte, le ninfe indossarono una veste nera in segno di lutto e i fiumi si ingrossarono per il troppo pianto.
Le Muse recuperarono le membra di Orfeo e le seppellirono ai piedi del monte Olimpo e ancor oggi, in quel luogo, il canto degli usignoli (4) è il più soave che in qualunque parte della terra.
Ma gli dei che tutto vedevano e giudicavano, decisero di inviare una tremenda pestilenza in tutta la Tracia per punire il delitto delle Baccanti. La popolazione allo stremo delle forze consultò l'oracolo per sapere come far cessare quella disgrazia e questi sentenziò che per porre fine a tanto dolore era necessario cercare la testa di Orfeo e rendergli gli onori funebri. Fu così che la sua testa venne ritrovata da un pescatore nei pressi della foce del fiume Melete e fu deposta nella grotta di Antissa, sacra a Dioniso. In quel luogo la testa di Orfeo iniziò a profetizzare finchè Apollo, vedendo che i suoi oracoli di Delfi, Grinio e Claro non erano più ascoltati, si recò alla grotta e gridò alla testa di Orfeo di smettere di interferire con il suo culto. Da quel giorno la testa tacque per sempre.
Fu recuperata anche la sua lira che fu portata a Lesbo nel tempio di Apollo che però decise di porla nel cielo in modo che tutti potessero vederla a ricordo del fascino della poesia e delle melodie dello sfortunato Orfeo, alle quali anche la natura si arrendeva, creando la costellazione della Lira.
Note
(1) Così si chiamavano, dal nome della nave Argo, i temerari principi (tra cui Castore, Polluce ed Eracle), che si unirono a Giasone per andare nella Colchide alla ricerca del vello d'oro;(2) Eratostene, Catasterismi;
(3) Deriva dalla voce Bàkkai femminile plurale di Bàkkos, nome che veniva dato a chi era seguace di Dioniso-Bacco. Durante le feste che si svolgevano in onore del dio a Tebe o sui monti della Tracia, si abbandonavano a ogni genere di sfrenatezza. Si rappresentavano coperte di pelli di belve o completamente nude. Erano conosciute anche con i seguenti nomi: Menadi, Tiadi, Bassaridi, Bistonidi, Mimalloni, Edonidi;
(4) Gli usignoli sono identificati nel bestiario greco con Orfeo.
Fonti bibliografiche
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