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Le tagghjate
Tutela, salvaguardia e valorizzazione
(lettera aperta)

Metamorfosi dell'immaginario delle rovine dal parco delle Tagghjate al comprensorio del Belvedere

Tagghjate – Grotta 1950 (esterno)
Tagghjate – Grotta 1950 (esterno)
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Oristano, 29 giugno 2013

Forse i seguenti passi desunti dalle riflessioni accorate di Gillo Dorfles sul significato delle rovine architettoniche, le riflessioni di un'intellettuale dalla forte e acutissima sensibilità circa i legami tra arte e vita, possono ancora risultare illuminanti se applicate anche a quello che possa essere la vera essenza del patrimonio di archeologia protoindustriale costituito dalle nostre amatissime tagghjate di Sangiorgio.

"(...) ancora oggi, dice Dorfles (1), ogni volta che ci troviamo di fronte ai relitti di un passato architettonico (...) non possiamo fare a meno di sentirci percorsi da una vena irrazionale che ci fa esclamare: Quanto è bella l'architettura in rovina! Come è affascinante il rudere!. Riappare ai nostri giorni questa passione per l'interrotto. Forse (...) la particolarità delle rovine (...) è quella di presentare una caratteristica essenziale (...), quella di essere un indicatore di quello a cui si riferiscono, essere la traccia (...) di tutto ciò di cui le rovine sono diventate ricordo. Di essere, insomma, memoria d'un tempo consumato, solo forma architettonica che, si presti a (...) privilegiare (...) un'estetica delle rovine. (...) Forse soltanto nelle rovine, nei relitti di costruzioni ormai restituite a condizioni quasi vegetali, sarà possibile (...) ritrovare il fascino d'un immaginario (...). (...) Ogni relitto (...) esprime acutamente questa particolare valenza simbolica, molto più di quanto non faccia una macchina in perfetta efficienza, un edificio appena costruito. Il relitto, con la sua valenza immaginaria e simbolica costituisce un "ricettacolo d'immaginario, quasi un accumulatore capace di propagare la sua carica simbolica anche a tutto l'intorno. (...) Ecco, allora, che (...) un'analisi delle valenze simboliche e mitiche d'un singolo edificio o d'una intera struttura urbana (... ) consista nella possibililità di una trasformazione dei significati di determinati significanti architettonici".
Tagghjate – Grotta 1950 (affaccio)
Tagghjate – Grotta 1950 (affaccio)
Insomma, per tornare a noi, le nostre tagghjate albergano in sè un germe espressivo, una possibilità immaginaria e simbolica proprio in ragione del fatto di essere dismesse, non avere più la specifica funzione originaria, pertanto, di esse non ne resta che la disponibilità all'apprezzamento formale (estetico). In una società dove l'elemento immaginario, mitico sembra segnare il passo a favore della onnipresente scientificità, tecnologicità, del razionale, non è poca cosa. Tutte le culture del passato hanno sempre esercitato la trasmissione delle proprie conosenze, delle proprie credenze e del proprio fare tramite il mito, la favola, le leggende, le saghe e la relativa ritualità di accompagnamento. Tanti miti (aspetto fantastico e immaginifico), proprio per il fatto di avere un'essenza extratemporale trovano una intrinseca verità sempre valida perchè sono l'essenza dell'uomo stesso. L'aspetto mitico è proprio del pensiero simbolico, del pensiero visivo, del pensiero per immagini, quindi, della creatività. Fin quando l'uomo esisterà, allora esisterà pure la sua espressione, l'Arte. Naturalmente, la valenza espressiva delle tagghjate essendo una valenza estetica ha anche una connotazione storica, storico-culturale che diventà identità, il legame che unisce l'uomo al suo habitat. Se ci chiediamo quale possa essere un futuro per le tagghjate, c'è da tenere presente che esso non può che collocarsi nell'ambito delle possibilità offerte da una loro "decontestualizzazione", ossia, un processo di estraneamento. In tutta Europa la tradizione architettonica e urbanistica contempla questa possibilità laddove chiese non sono più officiate, castelli risultano disabitati, complessi industriali dismessi: possono venir utilizzati per funzioni del tutto diverse da quelle originarie. Si pensi alle chiese trasformate in locali pubblici, ai castelli divenuti alberghi o sale d'esposizione, ma anche alle nostre masserie, ai nostri palmènti e frantoi ipogèi che cominciano pian piano a essere finalmente oggetto di tali considerazioni. Ma se questo si riferisce a strutture già esistenti "... anche ai nostri giorni non deve andar perduta la possibilità di realizzare delle costruzioni che – pur adottando le più moderne conquiste della tecnologia (high-tech) – presentino delle caratteristiche (immaginifiche)"(2). Un intervento sulle tagghjate deve comunque contemplare le qualità formali e storiche che in esse sono già presenti in partenza.
Tagghjate – Textures a  zzuèccu
Tagghjate – Textures a zzuèccu

Immagino interventi del tipo realizzazione di alcuni ponti metallici che le attraversino mettendo in collegamento i due cigli estremi, quello a monte e quello a valle; scalinate che da questi portino nei sottostanti siti particolari (grotte a pozzo, strettoie, ...), che costeggino incisioni di date (1915, 1921...), nomi (Ante, Vallari, F.G. 1913...), frasi (Chiunque... lasci questo fronte...) diversamente inaccessibili, ma anche superfici di pareti dalla textures di lavoro particolari (andamento dei segni picconati: frontali, laterali: dx /sx – a seconda se lu zzuccatòre era destrorso o mancino, o anche per motivi di sicurezza ...), o da specifiche qualità materiche (es., lù cranòne), stratificazioni tufacee che evidenziano la presenza di formazioni quali lu chiancarièddu ..., così pure, un impianto, magari del tipo teleferica, che le percorra in tutta la loro estenzione longitudinale per offrire in un unico colpo d'occhio tutto un paromama mozzafiato, da incanto; piccole cascate e laghetti artificiali; una puntuale cartellonistica illustrante gli itinerari consigliati, le loro peculiarità "storico-archeologiche", che descriva la locale fauna di oggi o di un tempo (gheppio (castarièddu), cornacchie (ciòle?),gufi, merli, corvi, gazze (spacciuèmmli?), bisce, vipere, dònnole, volpi, lepri, faìne, ...) e le articolazioni della macchia mediterranea ivi presente (timo, origano, ginepro, ...), ma anche della vegetazione successiva (fico selvatico, olivastro, pero selvatico (calaprìci)...). Il tutto, naturalmente, valorizzato da un apposito impianto di illuminazione che presti il fianco ad un'ammiccante fruizione estetica notturna delle masse plastiche, degli inconsueti scorci e colori. Ancora, un sistema di colonnine di soccorso (S.O.S.), del personale stabile di servizio di vigilanza continua; un'attenta recinzione a muretti a secco e/o a siepi (macchia) e steccati, ... che conservino quell'inimitabile carattere di creazione umana e naturale insieme che è proprio del patrimonio... paesaggistico tagghjate così come esse sono concresciute con il suolo possedendo una successione di stratificazioni culturali successive nel rispetto delle caratteristiche naturali del terreno.

Tagghjate – Grotta Mitragliata (affaccio su cava a pozzo)
Tagghjate – Grotta Mitragliata (affaccio su cava a pozzo)
Ma le Tagghjate, non vanno lasciate isolate nel loro essere. Una avveduta progettazione urbanistica dovrebbe anche prendere in considerazione-valorizzazione il sovrastante pianoro del Belvedere. Un esteso livellamento naturale (mt 135 s.l.m.) che da Sangiorgio porta fin sotto i primi caseggiati di Rocca. Un vero balcone prospicente sul golfo di Taranto che al tramonto e in primavera rivela la sua più intima suggestione. Sul pianoro bisognerebbe bandire ogni tipo di progettazione-urbanizzazione abitativa così come l'abbiamo conosciuta dagli anni '70 ad oggi nella nostra amata cittadina (!).

Bisognerebbe prevedere, sulla base dei vecchi tratturi ancora esistenti, solamente camminamenti, spiazzi attrezzati, chioschi, postazioni di cannocchiali panoramici, fontane monumentali, panche: insomma, tutto l'arredo per farne un salotto sociale all'aperto. La realizzazione di una pista ciclabile e infine, ma non certo con pretesa esaustiva, scalinate di raccordo con le di lì poco ancora sottostanti Tagghjate. Necessità vorrebbe, il rimboschire, raccordandosi alla vicina pineta di Faggiano, la mezza costa tra il ciglio a monte delle tagghiate e quello di declivio del detto sovrastante pianoro: un vero intervento integrato (di comprensorio) tra le comunità territoriali locali (Sangiorgio-Rocca-Faggiano) che valorizzi il Belvedere tutto, questo bene paesaggistico di cui madre natura ha voluta farci dono.

Tenendo, poi, presenti le articolate caratteristiche orografiche offerte dal vicino territorio di Roccaforzata - intendo, sempre sul versante di ponente del Belvedere (lì, monte Sante'Elia?), là dove sono, sulla linea di confluenza delle acqua meteoriche (vallone!) un antico frantoio ipogeo, alcuni scavi-ritrovamenti archeologici e ancora più in giù le sottostanti ultime estenzioni delle tagghjate sangiorgesi (l'India) - il territorio diventa veramente un ulteriore serbatoio di plurivalenze unificanti le citate tre comunità che già un tempo condividevano lingua, costumi e ritualità di culto.

In questo percorso di valorizzazione non è da dimenticare Faggiano, con il suo polmone verde, la sua pineta, le cave dismesse con i suoi macchinari arruginiti (archeologia industriale); un'altro punto, questo, segnato a favore di una continuità altimetrica concludentesi solamente poco dopo la frazione di San Crispieri (monte Sant'Angelo? - per la locale grotta ipogea avente una parete affescata con una grande effigie di un angelo in stile greco-bizantino!). Anche qui, il brullo e residuato pianoro andrebbe rimboschito creando un'ulteriore elemento di continuità con quanto già illustrato.

Quella del Belvedere, in linea d'aria, vanta un'estensione totale di circa 6 km, che iniziata dalla S.S. 7 Appia (la salita del campo sportivo di Sangiorgio) si conclude in prossimità della provinciale Pulsano-Lizzano (monte Sant'Angelo?).

La comunità europea sarebbe sicuramente disponibile a sovvenzionare, anche se a tranche successive, una tale progettazione di comprensorio. E' necessario che le comunità locali e gli spiriti più sensibili, ciascuno nel proprio ambito di competenza, se ne facciano carico, magari aprendo un tavolo istituzionale permanente di confronto che coordini gli interventi nell'ambito dell'unità di progetto; che sviluppi qualificatamente la specifica problematica e trasmetta anche alle future generazioni la valenza storico-paesaggistica di tale patrimonio intero: il Belvedere.

E' mai possibile che da tanti anni nella nostra Sangiorgio si sia perso il senso d'amor proprio, di appartenenza ad una comunità che ha una sua storia, una sua identità, un suo orgoglio immaginifico che senza saperlo i nostri avi ci hanno tramandato con le tagghjate?

Note:
1) Gillo Dorfles, Elogio della disarmonia, (Garzanti, Milano 1986) Skira, Milano, 2009, pag. 111 e segg.
2) Op. cit., pag. 116.

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