Mito di Sisifo
Tiziano Vecellio (1480/1485 – 1576) - Sisifo -
Madrid, Museo del Prado (Spagna)
Narrano le leggende che tanto tempo fa, un uomo di nome Sisifo, fondò la città greca di Efira (che successivamente si sarebbe chiamata Corinto) e della quale divenne il primo re. Sisifo era figlio di Enarete e di Eolo e la storia lo ricorda come un re tanto scaltro quanto malvagio e avido che prendeva e faceva ai suoi sudditi ogni genere di nefandezza.
Punizione di Sisifo
Anonimo, Vaso, Berlino, Staatliche Museum (proveniente da Vulci)
Sposò la pleiade Merope, figlia di Atlante, dalla cui unione nacquero Ornizione, Sinone e Glauco (padre di Bellerofonte)
La storia ci racconta che Sisifo, arrabbiato per i continui furti del suo bestiame, con uno stratagemma, marchiando gli zoccoli delle sue pecore, riuscì a scoprire che chi operava tali furti era Autolico, famoso ladro della mitologia, figlio di Ermes e Chione.
Racconta Gaio Giulio Igino (Favole CCI): «Mercurio concesse ad Autolico, che aveva generato da Chione, il dono di essere il ladro più abile e di non essere mai scoperto sul fatto; gli donò la facoltà di far assumere alle bestie che rubava le sembianze che desiderasse: da bianche potevano diventare nere; da animale cornuto poteva diventare un animale senza corna e viceversa. Autolico rubava quotidianamente il bestiame di Sisifo senza essere scoperto. Sisifo intuì che l'autore del furto era Autolico perchè mentre il suo bestiame diminuiva, quello di Autolico aumentava. Per essere sicuro fece un segno sotto gli zoccoli delle sue bestie. Autolico lo derubò nel solito modo ma Sisifo, recatosi da lui, scoprì le sue bestie e se le riprese. Successivamente conobbe Anticlea, figlia di Autolico e la violentò. La donna poco dopo fu data in sposa a Laerte. Da lei nacque Ulisse il quale, secondo alcuni autori, sarebbe figlio di Sisifo e non di Laerte. Da questa paternità deriva appunto la grande astuzia di Ulisse».
Sisifo 1920, dipinto, Franz von Stuck
Scorreva il tempo e le cattiverie di Sisifo non si contavano più, arrivando anche a ricattare Zeus quando scoprì che aveva rapito la ninfa Egina per farne la sua amante. Sisifo però ritenne più conveniente accordarsi con il padre della ninfa, il dio fiume Asopo, che la cercava disperatamente, chedendogli in cambio del nome della persona che aveva rapito la figlia, una fonte d'acqua dolce per la sua città. Asopo accettò l'accordo e fece scaturire la fonte Peirene. Zeus, che nel frattempo a fatica era riuscito a sfuggire alla furia di Asopo, ordinò ad Ade di portare via la vita a Sisifo e di dargli una punizione esemplare per aver tradito il re degli dei. Ancora una volta Sisifo però manifestò tutta la sua astuzia: quando Ade si presentò davanti a lui con le catene per portarlo via, Sisifo gli chiese di mostrargli come funzionassero, rimanendo in questo modo incatenato e prigioniero di Sisifo.
La prigionia di Ade scatenò una grande confusione nel mondo perchè le persone non potevano morire pertanto Zeus, per porre fine a questa vicenda, inviò Ares per liberare Ade.
Punizione di Sisifo
Anonimo, 500-490 a.C., vaso, Münster, collezione privata
Alla fine Sisifo morì ma quando fu al cospetto di Ade, si lamentò del fatto che la moglie non l'avesse onorato come si conveniva e si era dimostrata molto egoista e cattiva da non seppellirlo e dedicargli le dovute onoranze funebri (cosa suggerita dallo stesso Sisifo alla moglie prima di morire). In questo modo lui avrebbe vagato in eterno lungo le rive dello Stige senza poter passare oltre. Ade però non voleva sentire storie al contrario di Persefone, ai cui piedi Sisifo si era gettato, supplicandola di rimandarlo sulla terra per tre giorni, in modo da organizzare la sua morte come si conveniva a un re. Persefone si commosse e concesse a Sisifo di tornare in vita per altri tre giorni.
Sisifo, una volta arrivato a Corinto, ovviamente ignorò la promessa fatta a Persefone tanto che dovette intervenire nuovamente Ade per riportarlo nell'oltretomba con la forza.
La punizione che Ade scelse per Sisifo fu esemplare: fu condannato a trascinare un enorme masso lungo un ripido pendio di una collina per farlo rotolare dall'altra parte ma, una volta giunto in prossimità della cima, il masso, come spinto da una forza divina, rotolava nuovamente a valle e Sisifo doveva ricominciare da capo, con il sudore che gli bagnava la fronte mentre nuvole di polvere lo circondavano. E questo per l'eternità.
Questa punizione nota come "la fatica di Sisifo" è rimasta nei detti popolari a indicare un lavoro inutile, un lavoro che comporta una grande fatica con pochi risultati.
Narra Omero nell'Odissea XI, 746-758, traduzione Pindemonte:
«Sisifo altrove smisurato masso
Tra l'una e l'altra mano portava, e doglia
Pungealo inenarrabile. Costui,
La gran pietra alla cima alta d'un monte,
Urtando con le man, coi pié puntando,
Spingea: ma giunto in sul ciglion non era,
Che risospinta da un poter supremo
Rotolavasi rapida pel chino
Sino alla valle la pesante massa.
Ei nuovamente di tutta sua forza
Su la cacciava: dalle membra a gronde
Il sudore colavagli, e perenne
Dal capo gli salia di polve un nembo».
Si narra che Merope, la moglie di Sisifo, per la vergogna di essere l'unica pleiade
con un marito nell'oltretomba e per giunta criminale, abbandonò le sorelle in cielo
e per questa ragione si crede che Merope brilli in cielo molto meno delle altre
stelle che formano l'ammasso stellare delle Pleiadi.
Fonti bibliografiche
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