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Mito di Io
Come si generò la coda del pavone e da dove prese origine il nome del mar Ionio

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Un giorno Io, sacerdotessa di Era, figlia di Inaco re di Argo e della ninfa Melia, mentre rientrava alla casa paterna, fu fermata da che le dichiarò il suo amore e le propose di vivere in una casa nel bosco dove nessuno l'avrebbe molestata dal momento che sarebbe stata sotto la sua protezione e dove lui sarebbe potuto andare a trovarla ogni qual volta lo desiderasse. Io, spaventata da quelle parole, iniziò a fuggire ma Zeus, non volendo rinunciare a lei, la inseguì sotto forma di nube.

Io - Mito di Io
Io che viene avvolta da Zeus sotto forma di nube
Correggio (1489 -1534) ), Museo del Louvre, Parigi (Francia)

Narra Ovidio (Metamorfosi I, 588 e sgg):

«Giove la vide tornar dal fiume paterno e le disse:
"Vergine, degna di me, che farai non so chi di tue nozze
Lieto, va all'ombra di quegli alti boschi - e indicavale l'ombra -,
Mentre che altissimo il sole risplende nel mezzo del cielo.
Che se mai tremi d'entrare da sola nei covi ferini,
Va pur secura nel fondo del bosco, che un nume d'assiste,
Nè sono un nume plebeo, ma reggo la scettro del cielo
Con la gran mano ed i fulmini vibro che strisciano errando,
No, non fuggire" ma quella fuggiva ed aveva passato
Ormai i paschi di Lerna ed i campi lircei popolati
D'alberi, quando il Tonante, ravvolta la terra di vasta
Nebbia, nasconde la ninfa, la ferma e le toglie il pudore».

Per sfortuna di Io in quel momento , moglie di Zeus, accortasi dall'Olimpo della strana nube che correva veloce e conoscendo il suo sposo, dopo averlo cercato invano nell'Olimpo, capì subito che il prodigio della nube altro non era che Zeus e immediatamente intuì il tradimento.

Zeus, avendo avvertito la presenza di Era e sapendo che nulla di buono sarebbe accaduto se l'avesse trovato in quella situazione, trasformò la dolce Io in una candida giovenca. Il sotterfugio però non ingannò Era che una volta giunta al cospetto del suo sposo, gli chiese di donargli l'animale. Zeus era combattuto: negarle il dono significava ammettere il suo tradimento ma concedergliela significava condannare Io a un triste destino. Alla fine Zeus preferì evitare l'ira della sua sposa e le consegnò la giovenca.

Mito di Io: Era scopre Zeus con Io - Pieter Lastman, National Gallery, Londra (Inghilterra)
Era scopre Zeus con Io
Pieter Lastman, (1618), National Gallery, Londra (Inghilterra)

Non ancora tranquilla Era preferì affidare la custodia della giovenca ad Argo, gigante dai cento occhi, chiamato dai greci Panoptes (= che vede tutto), figlio di Arestone (o di Gea o di Inaco secondo altri) e di Micene.

Da quel momento iniziò per Io una vita terribile: sotto forma di giovenca e in ogni momento controllata da Argo, sia di giorno che di notte, in quanto i suoi cento occhi che non erano posti tutti sul capo ma in ogni parte del suo corpo, si riposavano a turno: mentre cinquanta erano chiusi, gli altri cinquanta vegliavano.

Mito di Io - Ermes, Argo e Io in una decorazione in un vaso antico
Ermes, Argo e Io
Decorazione vaso antico raffigurante, Kunsthistorisches Museum, Vienna (Austria)

Narra Stazio (Tebaide, VI, 405-410):
«Inaco segue: ei sul sinistro lato
Stassi appoggiato a la palustre sponda,
E versa l'urna, e ne diffonde un fiume,
E guarda mesto l'infelice figlia
Mutata in vacca, e 'l vigile custode
Che dorme e veglia con cent'occhi in fronte».

Mito di Io - Ermes, copia marmorea romana di un originale greco, Musei Vaticani, Roma (Italia)
Ermes
copia marmorea romana di un originale greco,
Musei Vaticani, Roma (Italia)
Mito di Io - Ermes, copia marmorea romana di un originale greco, Musei Vaticani, Roma (Italia)
Ermes libera Io da Argo
pittura murale nella casa di Livia, Roma (Italia)

Il tempo scorreva triste per la povera Io, costretta di giorno a pascolare e ad abbeverarsi presso fiumi fangosi e di notte a essere legata con un collare per non scappare via.

Intanto Zeus che si sentiva colpevole per aver condannato Io a un così crudele destino, chiamò , incaricandolo di liberare la fanciulla dalla schiavitù a cui Era l'aveva condannata.

Il giovane dio, presa la bacchetta d'oro che gli antichi chiamavano caduceo e il suo leggendario copricapo, dall'Olimpo volò sulla terra e si presentò ad Argo sotto le sembianze di un giovane pastore di capre. Ermes iniziò a suonare uno strumento formato con le canne e la melodia era tanto armoniosa che lo stesso Argo pregò il pastore di pascolare le sue capre presso di lui dicendogli che quello era il miglior pascolo che si potesse trovare in quelle zone. Ermes, a quel punto si sedette al suo fianco e iniziò a suonare delle dolci melodie che inducevano al sonno chiunque le ascoltasse.

Ma Argo, che riposava con metà dei suoi occhi, non si addormentava; anzi, chiese a Ermes come e da chi fosse stato inventato un tale strumento che procurava suoni così soavi ed Ermes, iniziò così a raccontare...

«Viveva un tempo sui monti dell'Arcadia, una ninfa di nome Siringa (dal greco Syrinx=canna), seguace del culto di Artemide che viveva nei boschi cacciando. Tanta era la sua leggiadria che molti dei cercavano di possederla e tra questi anche il dio Pan, che iniziò a inseguirla. Siringa mentre tentava la fuga per sfuggire al dio, pregò suo padre, il dio fluviale Ladone, di sottrarla a quella caccia. Fu così che fu trasformata in un fascio di canne sotto gli occhi di Pan. Al dio altro non rimase che prendere una canna, tagliarla in tanti pezzetti e legarli assieme con un legaccio ricavando in questo modo uno strumento che emetteva una melodia dolcissima e che da quel momento prese il nome di Siringa (noto anche come "flauto di Pan")» ()

Terminato il racconto Ermes si accorse che finalmente tutti i cento occhi di Argo si erano chiusi, addormentati e quel punto lesto lo uccise gettandolo da una rupe e liberando così la giovane Io.

Era, accortasi della morte di Argo e vedendo che non poteva più fare nulla per lui, prese i suoi cento occhi e li fissò alla coda di un pavone, animale a lei sacro.

Mito di Io - Pavone
Nota 1

Ma le peripezie di Io non erano ancora finite infatti Era, non potendo sopportare che la usa rivale decise di mandarle un tafano a tormentarla con le sue punture al punto da indurla a gettarsi in mare per riuscire a sfuggirgli. Io dopo aver attraversato a nuoto il mare che da lei si chiamò Ionio, vagò per lunghissimo tratto, in Europa e in Asia e alla fine approdò in Egitto.

Si narra che in Egitto Io, riprese le sembianze umane e generà Epafo, figlio di Zeus. Era tentò ancora di rovinarle la vita facendole rapire il figlio dai demoni Cureti, ma dopo molte peripezie, Io riuscì a ritrovarlo e a vivere serena il resto dei suoi giorni in Egitto, accanto a suo figlio.

Narra Ovidio nelle Metamorfosi I:

«Ultimo asilo all'immenso travaglio. Qui, com'ella giunse,
Sopra le rive del fiume curvando i ginocchi si sdraia,
alta, col collo all'indietro, levando la faccia, che sola
Può sollevare; e piangendo e genendo con mugghi luttuosi
Parve dolersi di Giove, chiedendo la fine dei mali.
Giove abbracciò la consorte, perchè desse fine alle pene
e "Non temere" le disse "che non ti darà più dolori".
Giurò per l'onda di Stige. Giunone placata consente;
Io riprende l'aspetto di prima tornando qual era.
Cadonle i peli dal capo, le corna di scemano, gli occhi
Impiccioliscono, il muso s'accorcia, le spalle e le mani
Tornano, e l'unghie si perdon sciogliendosi in cinque ciascuna:
della giovenca non resta più nulla se non il candore.
Lieta a' due piedi la ninfa si rizza, ma teme parlando
Di non muggire e ritenta smarrita la lingua dismessa
Ora una turba vestita di lino la venera dea.
Ella si dice che poi partorisse del seme di Giove
Epafo per le città venerato nei templi materni».

Epafo successivamente divenne re d'Egitto e sposò Menfi una ninfa del Nilo, in onore della quale fondò l'omonima città e dalla quale ebbe una figlia, Libia, dalla quale prese il nome la regione omonima dell'Africa settentrionale.

Nella mitologia egizia fu identificata con Iside dea della maternità e della fertilità.

Fonti bibliografiche

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Note

  1. Immagine non soggetta a copyright per cortese concessione di Adrian Pingstone (Arpingstone)
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