Le stragi preistoriche... prosegue
Tu sei in:
home
→
conservazione delle specie e dell'ambiente
→
le stragi preistoriche... prosegue
Così un gruppo di quei cacciatori (o forse un'intera tribù) un giorno imboccò quel corridoio privo di ghiacci lungo circa 2000 chilometri, che partiva dall'Alaska e sbucava all'ingresso delle grandi pianure nordamericane. Non sapremo mai se quello spostamento avvenne semplicemente come conseguenza di un lento inseguimento della selvaggina, o se fu veloce ed incentivato da storie favolose di una terra dalle riserve inesauribili di cibo. È possibile che qualcuno li avesse preceduti su quella strada, che fosse sopravvissuto alla grande avventura, e per qualche ragione fosse tornato raccontando storie mirabili di abbondanza. Forse alcune mandrie di grandi animali avevano iniziato a migrare stagionalmente attraverso quel corridoio, e qualche drappello di cacciatori le aveva seguite, come oggi fanno i lupi con le mandrie di caribù che percorrono più o meno la stessa strada.
In quali condizioni raggiunsero l'inizio delle grandi pianure? Quanti compagni di caccia, compagne, fratelli e sorelle, figli in tenera età avevano visto morire di sfinimento o di fame, in quel gelido corridoio? Forse quelle pianure e quel sole un po’ più caldo gli sembrarono un sogno, però probabilmente conservarono a lungo la cultura di cacciatori di grandi animali che quella vita dura aveva prodotto.
Fuori dai ghiacci, nuove prede
Usciti dal corridoio tra le due masse ghiacciate, i Clovis incontrarono tra l’altro i cavalli (quelli selvatici). Questi erano troppo veloci e paurosi, per riuscire ad avvicinarli: per cacciarli occorreva spaventarli, farli fuggire, e farli cadere in qualche agguato (o in qualche precipizio). Così il cavallo si estinse, dal continente americano dove si era evoluto, e ci tornò solo 10.000 anni più tardi, nel 1500, quando Cortés ne portò 18 esemplari dalla Spagna, per combattere gli Aztechi (2).
Dunque essi sarebbero arrivati nell'attuale zona di Edmonton; erano forse un centinaio di individui, secondo l’ipotesi studiata da Paul S. Martin (vedi nota), e di lì avrebbero iniziato la loro espansione in tutto il continente americano; la loro velocità di diffusione sarebbe stata tale da fargli raggiungere il golfo del Messico in 350 anni e la Terra del Fuoco in circa mille anni. La maggior parte dei dati di Martin sono i risultati di un modello appositamente realizzato su computer, per simulare l’avanzata e la crescita di una popolazione che si trovi nella situazione ipotizzata per i Clovis.
Secondo Martin, in quella situazione si forma un fronte di popolazione che avanza; esso ha la forma di un arco. Nello spessore del fronte, e davanti ad esso, la selvaggina di grandi dimensioni è abbondante, e questo consente una densità di popolazione abbastanza elevata. Alle spalle del fronte la densità della popolazione scende drammaticamente, fino ad un decimo di quella all’interno del fronte, a causa della rarefazione della selvaggina. Il fronte spazza i due continenti americani come un’onda, da nord a sud. Ogni località resta circa dieci anni all’interno del fronte; quel tempo basta per cacciare gran parte della selvaggina locale di grandi dimensioni, e per portarla sull’orlo dell’estinzione. È stato recentemente trovato un sito al margine sud della Patagonia, contenente punte litiche simili a quelle di foggia Clovis, che sono state datate col metodo del radiocarbonio a 10.700 anni fa.
Quindi, quel popolo avrebbe percorso 14.000 chilometri in meno di mille anni, attraversando ambienti di tutti i tipi, guidato da un unico stimolo: la ricerca di cibo sotto forma di nuova selvaggina. Il panorama che i Clovis trovarono di fronte a sé, all’arrivo nel nuovo continente, è la quintessenza del sogno del cacciatore: una terra piena di grandi mammiferi, che non conoscevano l’uomo, e che probabilmente si lasciavano facilmente avvicinare, almeno a portata di freccia o lancia. In quel periodo le pianure e le colline del continente erano abitate da mastodonti, cavalli, cammelli, mammuth, bradipi terrestri, orsi giganti, "tigri" dai denti a sciabola, gliptodonti, yak. Tutte quelle specie spariranno velocemente, malgrado molti indizi mostrino una precedente eccezionale abbondanza di vita.
L’Eden del cacciatore
Così un artista dell’800 immaginò le terre sconosciute all’uomo e popolate da grandi animali (da L. Figuier, La Terra dopo il diluvio, 1864). Non troppo diverso, probabilmente, da ciò che trovarono i Clovis. Nella figura sotto, un mammut lanoso (Mammuthus primigenius). Anche questa specie, la più adattata al freddo, sparì nel periodo dell’avanzata dei Clovis.
L’abbondanza eccezionale della cacciagione non suggeriva la prudenza di non eccedere nella caccia, ma dava piuttosto l’impressione di una risorsa infinita, da utilizzare senza indecisioni.
Così successe come quando una popolazione di predatori arriva dove ci sono prede in abbondanza; per di più in quel caso si trattava di predatori privi di nemici naturali. Quindi i Clovis aumentarono di numero molto velocemente; secondo l’ipotesi di Martin, in tutto il Nord America essi erano circa 600.000, quando raggiunsero il Golfo del Messico; si diffusero dapprima in tutto il continente settentrionale e poi in quello meridionale, attraverso lo stretto di Panama. Non fu solo l'abilità di caccia dei Clovis a distruggere la grande fauna, ma anche il fatto che aumentassero di numero rapidamente. I Clovis poi, a partire da circa 9.000 anni fa, danno origine ad una quantità di culture paleo-indiane, che si concretizzano nelle molte tribù nord americane dei tempi recenti, e la cultura dei Clovis stessi sparisce dalla scena.
È difficile pensare che tutti quegli animali siano stati uccisi direttamente in episodi di caccia; ma l’azione dell’uomo viene indicata come l’elemento di rottura che ha portato all’estinzione quelle specie di grandi animali. Spesso per estinguere una specie basta ridurre il numero dei suoi individui: i rimanenti, divenuti troppo rari sul territorio, si estingueranno velocemente da soli.
Ovviamente, altri elementi possono essere entrati in campo, per esempio il fuoco, normalmente usato dalle popolazioni primitive per stanare le prede e per aprirsi il passaggio attraverso la vegetazione. Quello che però fa pensare essenzialmente alla caccia è una strana coincidenza, per cui in quel periodo gli animali più piccoli, per intenderci quelli sotto una quarantina di chili, non si estinguono proprio. Non si estingue neanche una dozzina di generi di grandi mammiferi, che vivono ancor oggi nel continente americano, ed arrivarono come l’uomo dall’Asia, attraverso la Beringia: sono l’alce, il caribù, il bue muschiato, l’orso grizzly, e così via: anch’essi, come i grandi mammiferi africani, erano già abituati all’uomo.
Il Grizzly conosceva già l’uomo, quindi riuscì a salvarsi dai Clovis e dai loro discendenti. Anche ai nostri giorni, dove sopravvive, è molto difficile vederlo ed avvicinarlo. Questo comportamento elusivo ha salvato la specie fino ad oggi, ma non è stato sufficiente a salvare la grande maggioranza degli individui, un tempo diffusi un po’ dappertutto, oggi molto rari. Non così la tigre dai denti a sciabola (Smilodon), che si è estinta in Nord America, dove viveva, un po’ più di 10.000 anni fa. Questo predatore, il più grande felino esistito, probabilmente usava la sua potentissima muscolatura per aggrapparsi al collo delle grandi prede mentre le azzannava alla gola. Una tattica rischiosa: infatti, non sono rari i fossili di Smilodon che recano tracce di fratture. Forse si era specializzato a cacciare solo alcune specie, e si estinse con le sue prede abituali, sterminate da un cacciatore ancora più potente.
Gli oppositori dell’idea della strage preistorica invocano come spiegazione i cambiamenti climatici della fine dell’era glaciale. Il clima sarebbe cambiato, e le specie si sarebbero estinte. Quella spiegazione sembra presentare due punti deboli: il primo è che c’erano già stati altri cicli di glaciazione più o meno uguali, qualche decina di migliaia di anni prima, e quelle specie non si erano estinte (3); il secondo è che negli altri continenti non si produce lo stesso effetto, in corrispondenza delle variazioni climatiche di quel periodo. Lo stesso effetto si produce invece dappertutto, ma in epoche diverse, sempre più o meno in corrispondenza dell’arrivo di Sapiens. Vedremo nel prossimo numero cosa successe nelle altre parti del mondo.
Il caso dei Clovis è un esempio del comportamento della nostra specie quando si trova in una situazione di risorse apparentemente illimitate; quello che successe con la nascita dell'agricoltura, dell'industria o con l'attuale boom della tecnologia, sono esempi dello stesso fenomeno; ogni volta i nostri simili si fanno fregare dal proprio patrimonio genetico e aumentano di numero in maniera insensata, finché le nuove risorse non bastano più, o creano problemi grandi come le necessità che soddisfano. Questa storia ci mostra inoltre come le modificazioni che ciascuno di noi causa nell’ambiente naturale non dipendono solo dalle tecnologie che usa, ma anche dalla situazione: ciascuno dei Clovis ha probabilmente modificato l’ambiente naturale più del cittadino medio del nostro tempo, che pure ha a disposizione strumenti molto più sofisticati. Per quanto riguarda l’impatto sulle altre specie, l’effetto delle attività di ciascuno di noi diverrà trascurabile, visto che di altre specie ce ne saranno sempre meno, e di uomini sempre di più.
Sapiens è per natura invadente: questa non è una colpa, ma un dato di fatto. Sono la sua superiorità (e la sua differenza) rispetto alle altre specie che lo rendono intrinsecamente invadente, quindi sarà difficile che nel futuro prevedibile adotti un comportamento molto disciplinato nei confronti del proprio impatto ecologico, se non avrà capito le ragioni della sua invadenza. Contesto i miti del Buon Selvaggio e del Buon Tempo Passato proprio per questa ragione, per evitare che ci illudiamo di poterci fidare della nostra natura. Per la stessa ragione dedico spazio alle storie delle stragi preistoriche. Homo sapiens in equilibrio con l'ambiente con ogni probabilità non è mai esistito, e se in futuro riusciremo a instaurare un qualche equilibrio di quel tipo, sarà un'assoluta novità.
Bibliografia
- Sui Clovis, la loro cultura, e l’Ipotesi Overkill,cioè l’ipotesi che a provocare l’estinzione dei grandi mammiferi nordamericani sia stato quel popolo, vedere:
- Prehistoric Overkill, di Paul S. Martin, fa parte del volume Quaternary Extintions, a Prehistoric Revolution, edito da Paul S. Martin e Richard G. Klein, col contributo di vari autori; University of Arizona Press, 1995
- Overkill, in The End of Evolution, Peter Ward. Bantam Books, New York, 1994
- The Call of Distant Mammoths, Peter Ward. Copernicus by Springer-Verlag, New York, 1997
- Peopling the New World, in Timewalkers; Clive Gamble. Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1994
- Human Impacts of the Past, in The Sixth Extinction, Richard Leakey & Roger Lewin. Doubleday, New York, 1995. Pubblicato come La sesta estinzione. La complessità della vita e il futuro dell’uomo, da Bollati Boringhieri, 1998.
- Sull’evoluzione del cavallo, vedere: Fellow Creatures, in The Day before Yesterday; Colin Tudge. Jonathan Cape, Londra, 1995.
- Sulle oscillazioni climatiche nell’era glaciale, vedere: The Ice Age World, in In Search of the Neanderthals, Christopher Stringer & Clive Gamble. Thames & Hudson, New York, 1993.
Note
Paul Martin si è servito di un modello appositamente realizzato per simulare su computer l’avanzata di una popolazione che si trovi nelle condizioni dei Clovis, e la densità dei grandi mammiferi che quella popolazione cacciava. Alcuni dei dettagli della storia dei Clovis narrata in questo articolo derivano dai risultati ottenuti con quel modello.