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Il bel tempo andato... prosegue

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IL CAVALLO PERSEGUITATO

Il cavallo selvatico allo stato libero non esiste più. L’unica specie selvatica non estinta è il cavallo di Przevalski (nella foto). Fortunatamente ce ne sono parecchi negli zoo, che organizzano incroci per conservare la variabilità genetica della specie. La funzione degli zoo sarà indispensabile per conservare alcune specie e la loro diversità, almeno finché la popolazione umana (e lo spazio che occupa) non si ridurranno drasticamente (quindi almeno per alcuni secoli). Ma alcuni animalisti protestano per far abolire gli zoo. Anche con le migliori intenzioni, l’emotività rischia sempre di far danni.

Giancarlo Lagostena e il suo libro a Occhi bendati: il bel tempo andato

Tornando a Rousseau, col senno di poi si è capito perché i resoconti dei viaggiatori inneggiavano al comportamento delle popolazioni "selvagge": quando le esplorazioni divennero abbastanza frequenti (dal millecinquecento in poi), in Europa gli animali "selvatici" non c’erano più; i viaggiatori ne avevano visto solo qualcuno impagliato, oltre alle vacche ed ai maiali. Essi andavano in zone a clima tropicale, dove l’ambiente supporta un numero di specie più elevato che nelle aree temperate, e dove la densità della popolazione umana non era paragonabile a quella europea. Così parve loro naturale associare quella natura ubertosa e quell’abbondanza di specie con la presenza di popolazioni "selvagge".

IL BISONTE CHE NON C’È PIÙ

Quattro o cinquemila anni fa il bisonte era diffuso in Val Padana, come in molte pianure europee. Poi si è estinto (o è stato estinto), probabilmente ad opera di qualche Buffalo Bill preistorico munito di lance e frecce, anziché di Winchester a ripetizione. I nostri antenati padani evidentemente amavano le bistecche di bisonte e non erano al corrente della vicenda mucca pazza. Qui è ritratto il bisonte americano, l’unico ancora fotografabile sul pianeta; di quelli europei estinti non ci sono foto. Quindi…..

Giancarlo Lagostena e il suo libro a Occhi bendati: il bel tempo andato

ACCONTENTIAMOCI DI UN DISEGNO

L’ha fatto un artista straordinario un po’ di tempo fa. Infatti, lo schizzo ha circa 17.000 anni; si trova nella famosa Sala dei Tori della grotta di Lascaux, nel sud della Francia. Questa scena di dopo-caccia raffigura un bisonte sbudellato, con una lancia conficcata nel ventre, ed un cacciatore steso a terra, forse ferito o ucciso dall’animale. Evidentemente allora cacciatori e prede lottavano quasi ad armi pari, ma anche così, in breve tempo Sapiens ebbe la meglio (si fa per dire), ed i bisonti sparirono dall’Europa.

Giancarlo Lagostena e il suo libro a Occhi bendati: il bel tempo andato

Fu così stabilito un rapporto di causa ed effetto che non c’era; quei viaggiatori non sapevano che i grandi animali di quelle terre erano solo un pallido ricordo di quelli che le avevano popolate cinquantamila o ventimila anni prima. Infatti, pensavano che ventimila anni prima il mondo non esistesse ancora, e l’opinione che il mondo avesse circa 4000 anni era accettata senza troppe riserve.

Ma perché parlare del mito del Buon Tempo Andato qui su Elicriso, un periodico ambientale? Che c’entra col nostro ambiente il modo con cui i nostri contemporanei vedono i secoli ed i millenni passati? La ragione c’è, e piuttosto importante: quel modo di pensare, normalmente abbastanza innocuo, nel caso dell’ambiente e della conservazione delle altre specie è molto dannoso, e sfortunatamente la sindrome è diffusa proprio tra ambientalisti.

Per quale ragione la sindrome è dannosa, per l’ambiente? Perché chi ne è vittima tende a pensare che i problemi ambientali siano il risultato di tendenze moderne o solo moderne, e che quindi sia sufficiente tornare (almeno per certi aspetti) allo stile di vita di qualche secolo fa, per risolvere i problemi lamentati. Proprio perché i problemi ambientali sono estremamente importanti per l’uomo e per la natura, è essenziale che le loro cause siano individuate con rigore scientifico, e non con atteggiamenti ideologici o poetici. Che c’entra il passato con la conservazione dell’ambiente? In effetti, noi vogliamo conservare le altre specie ed i loro ambienti per il futuro. Ma il passato è una chiave delle più importanti per capire il presente ed immaginare il futuro. Purché ovviamente il passato si riesca a conoscere con obiettività sufficiente. Eccoci dunque al punto, ecco perché un’interpretazione corretta del passato è importante.

PARADISO HIMALAYANO

Questa donna nepalese che trasporta a spalla legna e frasche, ci ricorda che il passato non era così idilliaco come a volte romanticamente si pensa. Provare per credere. Però, anche avendo così poca tecnologia a disposizione, l’uomo preistorico eliminava la flora e la fauna che lo circondava. Anche qui, consiglio ai dubbiosi di andare a vedere il Nepal: ci sono solo animali domestici, ed in vastissime zone di boschi non c’è più traccia. La legna viene usata praticamente tutta per riscaldarsi e cucinare, e sono rimasti solo gli sterpi.

Giancarlo Lagostena e il suo libro a Occhi bendati: il bel tempo andato

La conclusione cui vorrei condurvi è che la nostra specie è per natura invadente e tende a dominare gli ambienti in cui vive; quindi elimina le specie con cui compete per le risorse alimentari o per lo spazio, quelle di cui si ciba e quelle che rappresentano qualche minaccia (vera o presunta). Come vedremo in seguito, questo non è dovuto alla malvagità della nostra specie, ma alla sua assoluta superiorità nel panorama biologico; quindi, questo non è un fenomeno moderno, ma si è sempre verificato, almeno da quando la nostra superiorità ha cominciato a manifestarsi.

Quasi dappertutto sono stati trovati indizi pesanti di un fatto che oggi sembra indubitabile: i nostri antenati preistorici compivano malefatte ecologiche quanto ed in qualche caso più dei nostri contemporanei, e la natura e le sue regole non le capivano proprio, né tantomeno capivano che avrebbero dovuto imporsi dei limiti, per vivere in "equilibrio" con essa. Vedremo nei prossimi numeri di Elicriso alcuni risultati di quegli studi. Qui vorrei ancora far notare un fatto che sarebbe ovvio, se chi pensa al passato non lo facesse con un’ottica nostalgica e poetica, con poca attenzione ai fatti. Gli eventi naturali si svolgono secondo una scala dei tempi troppo ampia, per essere notati con i mezzi che i nostri antenati avevano a disposizione. Se per esempio una popolazione non pratica la scrittura (e la lettura) in maniera diffusa e sistematica, gli manca un mezzo indispensabile di memorizzazione; la sua memoria può essere affidabile al più per una generazione o due, quindi non può capire quasi nulla dei fenomeni naturali. In quella situazione, nel giro di qualche anno la memoria dei fatti comincia ad essere sostituita da miti, leggende, favole e teorie più o meno campate in aria, e alla fine della verità non resta più traccia.

LA PIETRA DI ROSETTA

Questo famoso sasso, inciso con una scritta in due lingue (i geroglifici egiziani ed il greco antico), è servito per decifrare la scrittura degli egizi. Finché i popoli scrivevano così, col martello ed il bulino sulla roccia, o anche su materiali più maneggevoli, ma sempre a mano e faticosamente, le conoscenze non potevano essere trasmesse se non sporadicamente e tra poche persone. Fu necessaria l’invenzione della stampa, per rendere possibile il fiorire del sapere scientifico e la comprensione della natura.

Giancarlo Lagostena e il suo libro a Occhi bendati: il bel tempo andato

Questo si è sicuramente verificato per tutti i popoli cacciatori e raccoglitori e per gli agricoltori del Buon Tempo Passato, i quali non praticavano certo la scrittura a fini statistici, ammesso che in qualche caso sapessero scrivere.

C’è però una ragione evidente, per cui i nostri predecessori avevano un impatto sulla natura più ridotto di quello che la nostra specie ha oggi. Questa ragione non è la saggezza dei nostri antenati, ma un fatto ovvio e che sta davanti agli occhi di tutti: i nostri avi erano di gran lunga meno numerosi di noi. Questo fatto evidentissimo (direi quasi banale) per ragioni che in parte vedremo non viene mai fatto rilevare (3) . Per esempio, agli inizi del settecento il mondo era certamente in uno stato più naturale di oggi, ma allora gli abitanti del pianeta erano seicento milioni, un decimo dei sei miliardi odierni. Come se oggi gli abitanti dell’Italia fossero un po’ meno di sei milioni, anziché 57; in quella situazione, probabilmente il nostro paese potrebbe essere (o tornare) almeno in parte allo "stato naturale". Quindi, se siamo interessati alla natura ed agli ambienti naturali, per capire i fenomeni, le loro cause ed i loro effetti, non facciamoci fuorviare da atteggiamenti nostalgici, ma badiamo ai fatti (e magari ai numeri).

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Bibliografia

  1. Vedere The Prehistory of The Mind, di Steven Mithen. Guensey Press, Channel Islands, 1996;
  2. Sull’argomento, vedere per esempio Walking with the Great Apes: Jane Goodall, Dian Fossey, Birute Galdikas, di Sy Montgomery (1991);
  3. Per approfondire l’argomento, vedere per esempio Ad Occhi Bendati, dell’autore di questa rubrica, editore De Ferrari, Genova 2001. Sul sito dell’editore (De Ferrari) tra qualche giorno si potrà leggerne un estratto come e-book.
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