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La partenza della “Balilla”

Una vecchia auto balilla, la sua testardaggine a non voler partire e l'aiuto di due meravigliosi cavalli di tiro: una storia vissuta di un tempo passato della nostra memoria.

La partenza della “Balilla
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La famiglia Lombardi, come poche altre famiglie del paese, possedeva una automobile. All’epoca –fine anni ’40 – il modello maggiormente diffuso, si fa per dire, era quello della Balilla che dal nome già lasciava intendere che l’epoca dei suoi natali era coincisa con quella del Ventennio.

Due dei fratelli Lombardi (Pietro ed Angelo) vivevano a Monteiasi (provincia di Taranto, in Puglia). La Balilla aveva la sua sede, quanto ad autorimessa, nel locale ad angolo (via Mazzini/via Amendola) che apparteneva al Palazzo Sergio con la cui famiglia i Lombardi erano imparentati. Sul fondo di quel locale, se non erro, c’erano delle mangiatoie di una stalla che ospitava dei cavalli.

Le rare volte in cui la Balilla serviva per andare da qualche parte, si provava ovviamente a farla partire con i normali dispositivi di accensione; quando questi non bastavano perché la batteria era scarica o per qualunque altro motivo, si ricorreva alla leva che si inseriva in un apposito foro posto nella parte anteriore dell’auto, e, con quella, azionata da uno o due braccia si ruotava in senso orario fin tanto che il motore si avviava; naturalmente l’operazione richiedeva una certa forza perché bisognava vincere la resistenza del motore. E per questo motivo, questa operazione era riservata ai giovani, nel caso a Peppino, figlio di Pietro, oppure a qualche operaio dello stabilimento vinicolo-oleario di via Trieste/Buozzi. Quando neanche questo tentativo andava a buon fine, allora si ricorreva alla spinta; a spingere erano tanti quanti ne era possibile trovare, anche improvvisati tra quelli di passaggio. Ma i tempi erano difficili, la normale manutenzione di un’auto era parecchio complicata sia per la difficoltà di trovare i pezzi, la guerra era finita da poco, sia perché le conoscenze nel campo della meccanica non erano proprio abbondanti.

Pertanto, quando l’auto si ostinava testardamente a non voler partire, esisteva il metodo più sicuro e convincente: quello dei cavalli.

Nella stalla dietro la casa di via Mazzini, quindi dalla parte del vico Frat.lli Rosselli, erano alloggiati due cavalli stupendi, mastodontici, sicuramente d’importazione come quelli che erano anche alla masseria del Rosario e in tante altre aziende agricole di prestigio. Probabilmente saranno stati olandesi o del Regno Unito. Erano i tipici cavalli da tiro, robustissimi e pesantissimi; normalmente venivano utilizzati nel tiro del carro prolungato a quattro ruote da cui prendeva il nome. I carrettieri con la complicità dei maniscalchi, per aumentare il senso estetico della robustezza, quando si occupavano della tosatura, facevano sì che in prossimità dello zoccolo restasse il pelo, quindi non tosavano quella parte, per cui la lunghezza del pelo, col tempo finiva col ricoprire del tutto lo zoccolo che in questo modo dava l’idea di essere ancora più imponente rivestito da ghette tanto particolari.

Cavallo da tiro
Nota 1

Quando si affacciava l’idea di prendere i cavalli come soluzione ultima, allora c’era bisogno indispensabilmente della figura del carrettiere che avesse dimestichezza con quei cavalli, i quali per loro natura erano tanto imponenti ma altrettanto docili, lungi dalle bizzarrie dei cavalli murgiani (Murge, pugliesi) di stazza più ridotta e per questo più capaci di correre. Il carrettiere, se non ricordo male, era Raffaele Milone, il quale si recava nella stalla, metteva le cavezze ai due animali guidati dalle redini lunghe, applicava il collare al quale si attaccavano delle corde robuste o delle catene con delle maglie spesse in relazione al carico da trainare, alle corde o alle catene lunghe tanto da arrivare sul retro dell’animale veniva legato un bilancino ai lati estremi dello stesso nell’apposito incavo; il bilancino conteneva nella parte centrale un gancio ricurvo in ferro che si applicava alla parte da trainare. Nel caso in cui gli animali erano due, allora, bisognava ricorrere ad un bilancino più lungo fornito di due anelli in ferro ai quali anelli veniva inserito il gancio del bilancino più piccolo; in tal modo ci si assicurava la possibilità che il traino fosse garantito dalla forza di entrambi gli animali. Quando i due cavalli erano pronti con tutte le bardature anzidette, naturalmente già da qualche ora messi a lucido, come tutte le mattine prima di avviarsi alle fatiche quotidiane, dalla meticolosa opera dello stalliere o del carrettiere. Questi, già prima che albeggiasse, ricorreva immancabilmente all’uso della striglia in ferro che serviva a togliere la polvere e il pelo (staccatosi spontaneamente o per la frizione coi guarnimenti nelle fasi di lavoro) portandola anche contro pelo per essere più efficace, dopo di che ricorreva all’uso dello spazzolone (con filamenti di saggina) per “lisciare” il pelo secondo il verso dello stesso, nelle varie parti del corpo; la sommità longitudinale del dorso fungeva da discrimine per i rispettivi fianchi. Tutto ciò premesso, i due destrieri, allora, venivano portati in zona (dove attendeva la macchina), il carrettiere con nella mano sinistra le redini dei cavalli, agganciava alla parte anteriore dell’auto il gancio centrale del bilancino lungo, tenuto con la destra; il carrettiere, di fianco, dava il comando per il tiro: “Ohoh…” e immancabilmente dopo una buona serie di scoppi fragorosi la “Balilla” si avviava auto(nomo)mobilmente.

Note
1) Immagine concessa sotto licenza per gentile concessione di Benutzerin:BS Thurner Hof.

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