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Viaggio in Inghilterra
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Tre umane senza cani, senza mariti e, cosa peggiore, senza camper!

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Alla conquista di Birmingham - Crufts 2003: Venerdì 7 marzo 2003

Questa volta non è ben chiaro che cosa dobbiamo conquistare, visto che siamo solo tre umani (donne) e neppure uno straccio di marito né di cane….anzi l’unico marito in circolazione che ci deposita all’aeroporto, se la squaglia quanto prima, lasciando Mimma, la moglie, che fa boccucce di mestizia perché è la prima volta che parte per l’estero senza di lui, Marianne, l’amica allevatrice di chihuahua, che cerca solo un pertugio dove sia permesso ai fumatori di farsi una sigaretta dietro l’altra, senza intossicare i virtuosi, e me, la sorella, che deglutisco di paura al pensiero di quello che saprò fare (o meglio non fare) con il mio inglese arrugginito ed a questo punto anche un po’ arcaico, quasi Shakespeariano, visto che l’ho studiato nel millennio scorso.

Ma tant’è si vola e non c’è più tempo per i ripensamenti!

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Dopo un atterraggio un po’ impetuoso, per non dire a balzelloni, la bionda Albione ci accoglie con i suoi cielucci grigi, postumi d’abbondanti showers (altrimenti dette acquazzoni), visto le larghe pozzanghere in cui affondiamo piedi e valigie.

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Nell’albergo, situato vicino alla stazione di Euston, da cui prenderemo il treno che gloriosamente ci porterà al Crufts (Esposizione inglese tutte le razze canine), ci aspetta una camerina da lilliput ed un bagnettino che ci fa sentire a nostro agio, infatti ci ricorda tanto quello del camper, che ci ha servito in molteplici, epiche avventure.

E’ tutto molto cosy (intimo), nello stile delle classiche atmosfere inglesi.

Per ritrovare un po’ di mediterraneità Mimma e Marianne decidono d’infilarsi in un ristorante greco, poco distante dall’albergo.

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White Tower

La cosa mi lascia un po’ perplessa: non mi è ben chiaro il meccanismo che fa partire dall’Italia per andare in Inghilterra (oh no, Gran Bretagna! oh no, Regno Unito!) a mangiare greco!!!

Mi tengo dentro questo dubbio irrisolto e mi abbandono ad una grossolana abbuffata di moussaka, tipico mangiare greco, annaffiata da birra di Cipro e culminata in un ottimo caffè alla greca

Il servizio è un po’ ibrido, tendente al rustico-rude, ha ben poco d’inglese e per rifarci la bocca, dopo quest’intermezzo di ritorno alla mediterraneità, ci rituffiamo nell’atmosfera inglese dell’albergo, fatta di sussurri, suoni ovattati, luci soffuse, tappeti spessi e pronuncia smorzata.

Sabato 8 marzo 2003

Non è stato molto intellettuale, né culturale tuffarsi nelle stradine di Portobello e sciamare fra bancarelle e negozietti, ma l’abbiamo fatto e ci ha anche molto divertito e stancato.

Ci siamo sicuramente immerse nell’anima popolare di Londra, costatando che non si discosta molto dalla nostra: i mercatini, le bancarelle, gli acquisti per strada conservano dappertutto una loro gioiosa spontaneità e allegria collettiva. Abbiamo imperversato ficcanasando in tutti gli angolini, lasciandoci sedurre da abiti antichi leggiadri come sospiri, cappellini patetici e romantici come fiabe e prezzi che aleggiavano delicati molto al di sopra di noi e trasportavano via nel loro volo desideri e speranze.

Ciò nonostante qualche "danno" siamo riuscite a farlo e siamo rientrate in albergo con i piedi pesanti e la borsa più leggera.

A sera ci hanno raggiunto altri tre umani (uomini), allevatori, frizzanti di desiderio per l’acquisto di nuovi cani, con tutti i loro nervi e sensi protesi alla grande giornata dell’indomani al Crufts di Birmingham.

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Per cena la " Yialousa Taverna Greca" colpisce ancora: i truci camerieri ci accolgono di nuovo con i loro cipigli latini senza sorriso, seriosi e quasi scocciati

Io trattengo ancora nel cuore la mia domanda (che rimarrà senza risposta): "… ma se avevamo tanta voglia di Grecia, non facevamo prima ad andare ad Atene, senza passare per the United Kingdom?…"

Domenica 9 marzo 2003

Il gran giorno si apre come un sipario su di uno spettacolo a lungo anelato: i nostri uomini scalpitano (specialmente uno), deglutiscono di desiderio per la mostra che sta per dischiudersi di fronte ai loro occhi:

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Chihuahua come dei, code come frecce protese verso l’infinito, musi come raffigurazioni divine, assetti come espressioni di volontà superiori!

Siamo tutti puntualissimi: facciamo colazione con fervore e dinamismo, con un unico pensiero guida: quello di arrivare il prima possibile e non perdere nessun giudizio. Il treno lo sa e parte puntualissimo.

Siamo tranquilli: le ferrovie inglesi non sono come quelle italiane, qui si rispetta l’orario al minuto secondo!

Naturalmente si parla solo di cani, cani del passato e cani a venire. O meglio parlano solo di cani, perché io, pur avendo avuto ed amato cani e gatti per tutta la mia millenaria vita, mi sento una neofita al confronto degli allevatori professionisti e quindi me ne sto zitta, preoccupata solo che tutto il mio bagaglio d’inglese ancestrale possa concretizzarsi in suoni ed ascolti di qualche utilità.

Vengo subito messa alla prova. Il treno si ferma in aperta campagna e all’altoparlante gracchiano qualcosa.

Già non capisco mai cosa gracchiano gli altoparlanti italiani… figuriamoci quelli inglesi!

Tutti pendono dalle mie labbra: c’è un guasto alle carrozze di prima classe, molto di più non so dire.

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Qualcuno afferma che hanno detto che alla prossima stazione trasborderemo su di un pullman, a me non risulta e per fortuna ho ragione. Dopo reiterate serie di apoligizes (scuse), il treno si rimette lentamente in moto e sempre con debita calma, per i lavori in corso su tutta la linea, arriva a Birmingham con un’ora di ritardo.

Nel frattempo uno dei i nostri amici allevatori è fuori di sé dalla rabbia ed infierisce contro le molto compassate signorine inglesi del botteghino d’ingresso, che assorbono con molto stupito self-control una sfuriata in pieno stile emiliano, di cui non capiscono nulla e di cui, tutto sommato, non sono nemmeno la causa,

Dopo tanti tormenti: il Crufts!

La mostra si dispiega in tutto il suo splendore e la sua grandiosità di fronte ai nostri occhi. Rings, stands espositivi, attrezzature d’ogni genere, zone di ristoro, scale, tutto si snoda davanti a noi in un estensione di così gran respiro da perdercisi.

Rispetto a Parigi mi manca un po’ l’allegria gioiosa dei suoni, dei corni, dei canti: qui è tutto molto più attutito, chiaramente molto più inglese; anche i cani abbaiano in modo più controllato!!

Scattano alfine le richieste, le contrattazioni, gli acquisti, anche se i proprietari e gli espositori risultano molto restii a concludere affari durante il Crufts. Alla domanda se un cane è in vendita rispondono con occhi languidi: "Maybe (forse) ", alla richiesta di quanto costi, ti sussurrano nell’orecchio cifre di migliaia di sterline, come se ti confidassero che in realtà è solo un cadeau (regalo) e comunque cercano di rimandare il tutto ai contatti via e-mail address.

A fine giornata uno dei nostri amici ha un nuovo cane impacchettato nel trasportino ed è abbastanza raggiante, Mimma ha una promessa certa per l’invio di una splendida cucciola in a very short time (a breve) ed è abbastanza luminosa, un altro amico è decisamente spento, perché nonostante ripetuti, indefessi tentativi, non è riuscito a scambiare le migliaia di pounds che si era portato con un nuovo fulgente esemplare; la delusione gli intristisce gli angoli degli occhi, che si sono visibilmente abbassati.

A sera la "Yalousa Taverna Greca" colpisce ancora, ma Mimma ed io stavolta ci ribelliamo e mettiamo in atto una sommossa. Decidiamo di non muoverci dall’albergo e concederci una cena di sussurri, sorrisi e grazia tipicamente inglesi.

Non restiamo deluse: in un ambiente ovattato e rilassante ci prendiamo una bollente vegetable soup, un assortimento di formaggi locali accompagnati da un delizioso rametto di ribes, un apple tart tiepida, decorata con fragola e panna montata, ed una bottiglia d’acqua minerale, che ci viene presentata e servita con la prosopopea di un Dom Pérignon.

Visto il prezzo dell’acqua minerale mi sento molto orgogliosa, quando mi presentano la bottiglia per l’approvazione, di poter stabilire con certezza che è proprio Mineral Still Water, cioè acqua minerale non gasata, come desiderata da Mimma.

Confortate dalla nostra seratina di "Thankyou" and "Enjoy it", ci prepariamo per la scarpinata e la partenza dell’indomani.

Lunedì 10 marzo 2003

Ancora una volta ci separiamo dai nostri amici. Mimma ed io percorreremo in lungo ed in largo Londra con la metropolitana, gli altri con i classici autobus rossi.

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Navata di Westminster

Arriviamo a Piccadilly Circus, passeggiamo per Soho e Carnaby Street, esploriamo il lussuoso, grande magazzino Liberty, lasciando qualche sospiro su deliziose, costosissime acconciature per capelli, raggiungiamo The House of Parliament e Westminster, scontrandoci sulla riva del Thames con i nostri amici che sopraggiungevano da tutt’altra direzione e con tutt’altri mezzi

Dopo un breve, enfatico saluto ci dividiamo di nuovo, loro a caccia di un ristorante, Mimma ed io dirette al Tower Bridge. Rimango sempre incantata di fronte ai fiumi che ornano le città: sono il loro cuore pulsante, trasportano il loro destino, raccontano la loro storia, sono la testimonianza del loro passato. Ricordo il Guadalquivir di Cordova e Granada, la Senna di Parigi, il Danubio di Vienna e sempre l’Arno, il fiume fatato della mia infanzia a Pisa, che accompagnò con il suo lento, pacato incedere i primi, incerti anni del mio apprendere.

"The time is over" come dice Bush, "il tempo è scaduto": dobbiamo assolutamente rientrare in albergo, prender i bagagli e precipitarci all’aeroporto. Riusciamo a ritagliarci un quarto d’ora per uno spuntino rifocillatore; inizio Mimma ai piaceri del "cream tea", con tanto di scones, marmellata di fragola e panna fresca. In un delirio di libidinosa golosità ci ripromettiamo che alla prossima occasione in terra inglese ci rimpinzeremo di deliziosi cream tea, serviti solo dalle 14 alle 17.

Riappropriateci di Marianne, che ci ha raggiunto in albergo, ricompattiamo il gruppettino di donne e davvero si parte: siamo all’aeroporto all’ora prevista, spendiamo gli ultimi coins al duty free e ci dirigiamo al nostro gate.

Lo sconcerto ci squassa: al nostro gate è previsto in partenza un aereo per Dublino!??… E ora? Vado in fibrillazione, so di dover fare appello a tutte le mie regole di grammatica, a Shakespeare, a Thomas Moore, a Crownwell ed anche alla Good Luck!

Manca solo un quarto d’ora al decollo, l’ufficio informazioni è lontanissimo ed intorno ci sono solo passeggeri o personale preposto ad altri voli che nemmeno ti ascolta. Mentre percorro a furiose falcate il cammino a ritroso, scorgo una giovane non in divisa, ma con un cartellino ballonzolante sul petto e le chiedo disperatamente aiuto.

Con gentilezza mi dice che del mio volo non sa niente, ma che posso sempre controllare il numero del gate sullo screen (schermo).

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Mi accorgo allora che l’aeroporto è tappezzato di monitor più di una stazione ferroviaria... mi sento provinciale, sprovveduta ed incapace, ma vittoriosa: ho il numero del cancello d’uscita, effettivamente diverso da quello che la maledettissima hostess ci aveva scritto sulla carta d’imbarco, ma ce l’ho!

Ho salvato tre donne dall’abbandono in un anonimo airport inglese, con un biglietto scaduto, senza più sterline, con carte di credito che finora non eravamo riuscite a far funzionare per il prelievo ed in più con la guerra alle porte e le frontiere chiuse!

Salgo in aereo che mi sento quasi un’eroina e per riprendermi dallo stress, durante il volo, faccio yoga.

All’arrivo investiamo il solito marito (Romano) che è venuto a raccattarci, con gli spumeggianti racconti delle nostre avventure e di tutti i rischi che abbiamo corso, affrontato e risolto da sole.

L’onda d’urto della nostra effervescenza s’infrange contro la muraglia un po’ annoiata della sua imperturbabilità.

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Mi sorge un dubbio: forse se si chiudevano le frontiere, scoppiava la guerra e noi restavamo abbandonate in un anonimo aeroporto inglese, i nostri mariti non si sarebbero strappati i capelli dalla disperazione, forse non avrebbero fatto carte false per sdoganarci, forse… chissà, magari… un sospiro di sollievo poteva anche scapparci….

No, non voglio indugiare oltre su queste perplessità, anzi faccio subito il numero di casa per rassicurare mio marito che sì, sono tornata, sono in Italia, pronta a correre a casa, trepidante, fra le sue braccia... e quelle dei miei cani.

Remember.

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