Il sentiero natura di Castel Manfrino
L’associazione Pro Natura Laga, nata a Teramo nel marzo 1998 e facente capo a Pro Natura Abruzzo, si prefigge di favorire attraverso una conoscenza della natura consapevole della complessità e della delicatezza dei suoi equilibri, la tutela delle zone di maggiore interesse naturalistico ed il miglioramento della qualità dell'ambiente urbano in relazione alle esigenze biologiche e culturali dell'uomo. Per favorire questo nuovo atteggiamento nei confronti dell'ambiente l'associazione Pro Natura Laga promuove la diffusione dell’Educazione Ambientale nelle scuole di ogni ordine e grado sia tramite corsi specifici sia in qualità di disciplina a carattere trasversale rispetto a tutte le altre.
Poiché l'acquisizione di una nuova sensibilità verso l'ambiente passa principalmente attraverso un approccio diretto alla realtà naturale del proprio territorio l'associazione propone di utilizzare alcune aree del Parco Nazionale Gran Sasso - Laga, dotate di particolari requisiti come sedi permanenti di percorsi - natura finalizzati a favorire negli studenti lo sviluppo della capacità di lettura dell'ambiente. Tra questi luoghi l’area prossima ai ruderi di Castel Manfrino, presso il gruppo dei Monti Gemelli, nel comune di Valle Castellana, in provincia di Teramo, sembra possedere caratteristiche particolarmente adatte a tale destinazione grazie alla buona accessibilità dei luoghi, in condizioni di relativa sicurezza, ed alla pluralità di valenze didattiche e culturali che il sito presenta. Lo studio dell’ambiente diviene così il filo conduttore di un progetto di lavoro a carattere interdisciplinare radicato nel contesto territoriale degli alunni. Per questo motivo l’Associazione Pro Natura Laga, con il contributo finanziario dell’Ente Parco, si appresta ad allestire nella zona un "sentiero natura" corredato di tabelloni illustrativi e stazioni di osservazione naturalistica e storico-architettonica, rappresentativi delle caratteristiche geomorfologiche e floro-faunistiche salienti dei biotopi attraversati e delle emergenze storiche e monumentali del sito del castello, da utilizzare con il supporto di materiale didattico illustrativo appositamente predisposto.
- Conoscenza del proprio territorio;
- sensibilizzazione rispetto al valore etico della conoscenza della natura.
- Conoscenza di elementi di ecologia;
- conoscenza dei lineamenti della storia del proprio territorio;
- conoscenza di nozioni basilari di geografia e geologia.
- Leggere un ambiente naturale;
- riconoscere le relazioni che intervengono tra le componenti di un ambiente;
- saper confrontare;
- costruire conoscenze disciplinari e trasversali;
- saper classificare gli organismi;
- distinguere le diverse fasi della storia locale;
- saper relazionare sulle attività svolte.
- Assumere un atteggiamento esplorativo;
- percepire l'ambiente negli aspetti e suggestioni non strettamente cognitivo-razionali;
- essere in grado di evidenziare le relazioni tra cause ed effetti in un contesto ambientale;
- acquisire comportamenti rispettosi dell'ambiente.
MATERIALI E METODI
Attrezzatura per passeggiate in media montagna, blocchetto per appunti, matita penne, lente d'ingrandimento, binocolo, contenitori e sacchetti di plastica per la raccolta di campioni, borraccia , pranzo da consumare al sacco.
Questa zona, come altre aree del Parco Nazionale Gran Sasso - Laga, non mostra nel suo aspetto attuale quella condizione di naturalità pressoché originaria tipica degli ambienti che nel corso dei secoli sono rimasti indenni da significativi interventi antropici. Nei territori del parco infatti le popolazioni umane hanno esercitato una progressiva azione modificatrice dell'ambiente i cui albori si possono far risalire a quelle fasi della preistoria (il periodo Neolitico) nelle quali la pastorizia e poi l'agricoltura hanno preso piede nella zona appenninica centrale.
In molte zone quindi, nonostante la grande suggestione dei paesaggi e degli scenari le tracce di una secolare presenza dell'uomo e da uno sfruttamento degli ambienti iniziato in epoche remotissime sono ancora oggi chiaramente leggibili, soprattutto tramite l'analisi del manto vegetale, nonostante lo spopolamento e l'abbandono della montagna degli ultimi anni. Tra le aree del parco che, per la loro particolare morfologia, forse da tempi più antichi hanno visto il transito e poi l'insediamento di popolazioni umane in epoca protostorica vi è il bacino del torrente Salinello, con le sue gole che hanno da sempre rappresentato un canale di comunicazione abbastanza agevole tra l'ambiente delle colline medio - adriatiche, che furono sede molto precocemente di uno sviluppo agricolo ed i vasti territori di caccia e di pascolo dei Monti della Laga, oltre i quali era possibile l'accesso alla conca reatina e quindi al versante tirrenico.
Tale funzione di collegamento si accentuò in epoca romana quando probabilmente, secondo l'ipotesi dello storico teramano Nicola Palma , lungo l'incisione valliva del Salinello correva un ramo della Via Salaria denominato Via Metella e si mantenne poi in epoca medioevale, quando sui resti di un castrum romano, probabilmente riutilizzato dai Longobardi, venne edificato sotto gli Svevi in posizione strategica e su di uno sperone roccioso a circa 963 m di quota, il Castello di Macchia, oggi noto come Castel Manfrino. Fino ad oggi però non sono emersi elementi concreti che avvalorino la presenza romana e longobarda, notizie certe sull'esistenza del castello si ricavano invece dalla lettura di documenti di fonte angioina, il più antico di questi è datato 28 novembre 1269 e dal ritrovamento sul posto di vasi del XIII secolo.
La fortificazione faceva parte di una linea difensiva costituita da 12 castelli posizionati lungo il confine tra lo Stato Pontificio ed il Regno di Sicilia fissato dopo il 1153 con l'annessione del territorio da parte dei Normanni. Il Castello di Macchia venne quasi sicuramente costruito a partire dal 1263 dal generale Percivalle d'Oria per ordine di Manfredi in previsione della discesa delle truppe di Carlo d'Angiò, a questa circostanza probabilmente si deve far risalire la sua denominazione di Castel Manfrino o Castel Manfrì. La cinta muraria del castello allineata secondo un asse longitudinale in direzione nord - sud, segue l'andamento delle curve di livello con una lunghezza di circa 120 m e una larghezza di 20 - 25 m. Nel periodo angioino essa era dominata da tre torri ed al suo interno conteneva oltre alle stalle ed agli alloggi della truppa e del castellano, una cappella ed una cisterna posta sotto al mastio situato a nord, accanto all'ingresso. Le strutture verticali erano costituite da murature "a sacco", mentre quelle orizzontali, concernenti le coperture, i solai e le scale erano prevalentemente lignee ; per la deperibilità del materiale di questi elementi non resta alcuna traccia. Per la realizzazione venne utilizzato il legname proveniente dai boschi circostanti che forse all'epoca erano costituiti ancora da specie pregiate come l'abete bianco. Questa essenza, oggi scomparsa allo stato spontaneo nella zona, sopravviveva almeno fino al 1939 con qualche esemplare sulla vicina Montagna di Campli. La distruzione del manto boschivo nelle vicinanze del castello era finalizzata d'altro canto ad aumentare la visibilità ed a precludere ogni possibilità di copertura agli eventuali assalitori. L'importanza strategica del Castello di Macchia si ridusse a partire dal 1400 con l'introduzione della polvere da sparo e probabilmente in quell'epoca inizia il progressivo declino della struttura.
L'esame dell'area dove oggi sorgono i resti del castello presenta quindi molteplici valenze sia di tipo naturalistico che di carattere storico proprio a motivo del fatto che in questo settore del parco forse maggiormente si può cogliere il risultato di quella coevoluzione tra la fisionomia del paesaggio naturale e le diverse forme di utilizzazione umana del territorio succedutesi nel corso della storia.
Proprio per questa pluralità di valenze culturali e per la relativamente facile accessibilità dei luoghi l'associazione Pro Natura Laga propone l'utilizzazione a fini didattico - scientifici del sentiero attualmente esistente che collega il paese di Macchia da Sole ai ruderi di Castel Manfrino, tramite l'allestimento di un vero e proprio "sentiero natura" corredato di tabelloni didattici che illustrino le caratteristiche geomorfologiche e florofaunistiche salienti dei biotopi attraversati e le emergenze storico architettoniche del sito del castello.
Per quanto concerne il quadro geomorfologico tra gli aspetti di maggiore rilievo si può ricordare la presenza lungo il sentiero, nei pressi di Macchia da Sole, di rocce marnose del Miocene denominate Marne con Cerrogna cui fa seguito l'affioramento nella zona del castello delle cosiddette Dolomie di Castel Manfrino che risalendo al periodo compreso fra il Triassico superiore ed il Lias inferiore (intono ai 200 milioni di anni fa) rappresentano la formazione geologica più antica del complesso montuoso detto dei Monti Gemelli. Questi rilievi calcarei situati ad est dei Monti della Laga e denominati Montagna dei Fiori (1814 m) e Montagna di Campli (1718 m) vengono definiti "gemelli " a motivo delle caratteristiche geologiche e strutturali sostanzialmente identiche. Essi sono separati dalla profonda incisione trasversale delle Gole del Salinello, che rappresentano il risultato di un tipico fenomeno di antecedenza , poiché il tracciato del torrente Salinello, che scorre al di sotto di Castel Manfrino, si è stabilito prima del sollevamento della catena montuosa , nel corso del Pliocene, e l'erosione fluviale ha inciso la catena man mano che si formava, suddividendola in due rilievi analoghi.
Dal punto di vista della vegetazione, a causa della riduzione dello sfruttamento antropico degli ultimi anni si può ora assistere nella zona al verificarsi di un graduale processo di rinaturalizzazione dei versanti montuosi prospicienti il sentiero , lungo il quale si possono ripercorrere idealmente tutte le tappe della dinamica della vegetazione, che, a partire dal pascolo arido a graminacee originatosi a causa dei tagli del passato , conducono attraverso le formazioni aperte a ginepro rosso (Juniperus oxycedrus), ginestra odorosa (Spartium junceum) , biancospino (Crataegus monogyna) e prugnolo (Prunus spinosa) alla ricostituzione del bosco rado di roverella (Quercus pubescens), acero campestre (Acer campestre), orniello (Fraxinus ornus) e carpino nero (Ostrya carpinifolia). Il percorso del sentiero, pur non consentendo di imbattersi in specie vegetali di particolare rarità o in formazioni vegetali indisturbate, consente ai visitatori di cogliere attraverso la lettura guidata della vegetazione l'evoluzione storica della copertura vegetale del sito ed il realizzarsi di quei processi dinamici, che in assenza di disturbo, possono condurre alla ricostituzione del manto boschivo nelle zone degradate.
Un altro aspetto che facilmente è possibile evidenziare, soprattutto nella parte finale del percorso, è l'influenza dell'esposizione dei versanti sul microclima e quindi sulla distribuzione delle singole specie vegetali. Si può infatti facilmente osservare come lungo i pendii esposti a settentrione il ginepro comune(Juniperus communis) dai galbuli nero bluastri sostituisca il più frequente ginepro rosso (Juniperus oxycedrus) dai galbuli rossastri, tipico delle aree soleggiate e come nei pressi dei ruderi le variazioni di esposizione favoriscano la comparsa di specie arboree come il faggio (Fagus sylvatica) ed il leccio (Quercus ilex) dotate di esigenze ecologiche molto differenti.
Tra le piante erbacee maggiormente diffuse lungo il sentiero sono da ricordare: il garofano ciliato (Dianthus ciliatus), i perpetuini d'Italia (Helicrysum italicum), il fiordaliso d'Abruzzo (Centaurea ambigua), Eryngium campestre ed Eryngium amethistinum.
Da punto di vista della fauna, a motivo del carattere elusivo della maggior parte dei vertebrati presenti nella zona, l'incontro più agevole nella bella stagione, è quello con gli insetti, in particolare con gli Ortotteri ed i Lepidotteri , che popolano in gran numero i versanti asciutti e soleggiati. L'osservazione delle specie più diffuse si rivela interessante poiché permette di mettere in luce alcune delle tipiche strategie di difesa basate sul mimetismo. Così sui capolini dei cardi e delle scabiose tra la tarda primavera e l'estate è facile osservare le farfalle del genere Zigaena dalla tipica livrea rossa e nera, classico esempio di mimetismo fanerico , cioè di colorazioni di avvertimento che mettono in guardia gli uccelli insettivori sulla tossicità delle specie che le esibiscono.
Tra di esse, ma più di rado, si rinviene anche la specie Zigaena ephialtes. che si diversifica per la colorazione nera chiazzata di bianco che imita l'aspetto di altre farfalle ugualmente inappetibili appartenenti al genere Amata.
Quest'ultimo rappresenta invece un esempio di mimetismo di tipo mulleriano poiché in questo caso uno stesso modello di colorazione di avvertimento viene sfruttato da più specie tutte disgustose che si avvantaggiano delle esperienze fatte dai predatori su una di esse.
Anche tra gli Ortotteri diffusi lungo il sentiero troviamo molti esempi di colorazioni mimetiche come quella delle locuste appartenenti alle specie Oedipoda coerulescens ed Oedipoda germanica.
Esse involandosi dalle zone ghiaiose esibiscono la colorazione balenante azzurra o rossa delle ali posteriori che dopo un rapido volo scompaiono repentinamente sotto le tegmine di colore grigio o bruno, non appena gli insetti si posano di nuovo confondendosi con il substrato. Questa sorta di effetto flash confonde i predatori che non riescono a focalizzare la loro attenzione su di una precisa immagine dell'insetto da ricercare
Per quanto concerne i vertebrati le possibilità di osservazione riguardano essenzialmente gli uccelli. Scrutando il cielo con attenzione può capitare inoltre di osservare oltre alle comuni cornacchie grigie, il rapido passaggio della ghiandaia o le evoluzioni di alcuni rapaci come il gheppio, la poiana ed il falco pellegrino che nidifica nelle vicine Gole del Salinello. Se si osserva la vegetazione con l'ausilio di un binocolo e preferibilmente con la guida di un esperto è possibile inoltre distinguere inoltre molte specie di Passeriformi, la cui varietà dipende dalla presenza di vari ambienti di transizione.
Tra i grandi mammiferi nella zona è abbastanza numeroso il cinghiale (Sus scrofa) che è tornato a far parte della fauna selvatica della provincia di Teramo dal 1976, anno a cui risalgono le prime immissioni effettuate nel comune di Montorio al Vomano. Oggi il cinghiale, che era scomparso dall'Abruzzo probabilmente sin dal secolo scorso, risulta diffuso in tutti i comuni della fascia montana e di alta collina della provincia. Onnivoro per eccellenza esso è riuscito a diffondersi anche perché è in grado di modificare la sua dieta in funzione delle risorse alimentari offerte dai vari ambienti; sui Monti della Laga il cinghiale sembra aver trovato un ambiente ideale per la sua sopravvivenza poiché i vasti boschi gli offrono riparo e cibo in autunno ed in inverno. Da maggio a novembre, quando diminuiscono le risorse appetibili offerte dal bosco, esce dai confini del Parco per frequentare i campi situati ai margini delle aree boscate e consumare piante coltivate quali cereali, patate, girasole. Le tracce del suo passaggio sono facilmente riconoscibili grazie alle caratteristiche "arature" che lascia nei campi e nei prati dopo aver scavato con il muso detto "grifo" alla ricerca di radici, tuberi e larve d'insetti. Tra i nemici naturali del cinghiale vi è un altro abitante di questa area : il lupo. Nel comprensorio dei Monti della Laga pare accertata la presenza di un nucleo di dieci - quattordici lupi che, come è stato accertato di recente, frequentano anche la zona di Monti Gemelli. Uno dei metodi utilizzati per individuare e censire i lupi in una determinata area consiste nell'emissione di ululati registrati cui solitamente essi rispondono. L'incremento numerico fatto registrare da questo predatore negli ultimi anni va sicuramente attribuito allo stato di protezione accordato alla specie dal 1976 e al ritorno degli ungulati selvatici in ampie porzioni dell'Appennino.
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