L’ambiente pagano slavo-russo
Nota 1
di Aldo C. Marturano
Le migrazioni costituirono un evento abbastanza frequente ancora nei secoli VII-VIII d.C., ma, mentre l’Occidente fu impressionato da quelle germaniche in tal misura da etichettarle come Invasioni Barbariche in tono molto più spaventato che dispregiativo, quelle slave più tarde furono subite e sopportate nei loro progressivi impatti soltanto dall’Impero d’Oriente e del tutto sottovalutate nel resto d’Europa. Le voci dell’Impero Romano d’Oriente (Procopio, Jordanes e altri) informano che gli Slavi al momento della loro apparizione (nel V-VI sec. d.C.) sono popoli in prevalenza agricoltori-raccoglitori trascinati da condottieri-avventurieri (di solito non slavi: goti, unni, avari etc.) in razzie e campagne militari dirette verso i territori balcanici, essendo queste terre le più ricche dell’Impero. Tipico comportamento delle bande slave sembra il saccheggio improvviso e le loro rapide ritirate nella selva oltre il Danubio. Da altre fonti, stavolta “latine”, è noto pure che non era l’avventura o la prospettiva di far bottino a provocare gli spostamenti slavi, ma motivi più contingenti. S. Runciman, parlando dei Bulgari, giudica la loro penetrazione nei Balcani nel IX sec. pacifica in generale rispetto a quelle degli Unni o degli Avari e sottolinea che il motivo di mandare avanti gli assoggettati Slavi per premere sui confini dell’Impero non era tanto l’impresa occasionale quanto invece il fatto che la terra non riusciva a sfamare questa gente in continua crescita.
Il “nomadismo slavo” cosiddetto lo conosciamo però anche per i secoli successivi e, allora, può questo esempio da solo servire a spiegarlo? In realtà le “trasferte frequenti” (ogni 8-10 anni!) erano momentanee e necessarie allorché i raccolti da un pezzo di terra coltivato non erano più sufficienti alla sopravvivenza e villaggi interi si ponevano alla ricerca di nuova terra vergine. Attenzione però! Villaggio qui significa una sessantina di persone in cammino, al massimo.
E’ contraddittorio tuttavia che aumentino le persone in vita mentre la terra fornisce meno risorse. Evidentemente, nonostante il suolo della Mitteleuropa da dove irraggiarono gli Slavi fosse in gran parte loess fertile e facilmente arabile, la caduta delle rese accadeva per l’esaurimento superficiale del terreno o per essere stato lavorato troppo a lungo oppure per le tecniche primitive come ad esempio concime animale insufficiente e strumenti agricoli poco adatti. In condizioni di insufficiente tecniche agricole è anche logico che ogni cambiamento climatico si facesse sentire precocemente e pesantemente tanto da spingere a cambiar di sede e a cercare nuova terra.
Nota 2
Eppure d’abitudine le carenze di cibo si sopperivano con la raccolta di bacche e di frutti, con la piccola caccia e l’abbondante pesca nelle regioni fitte di alberi. Nelle cronache d’origine “latina” Germani, Slavi e Balti (i tre grandi etnos della Mitteleuropa) sono chiamati (persino con un certo disgusto) silvatici (dal latino silva, foresta) giusto perché abitano all’interno o strettamente prossimi ai margini delle foreste e non praticano l’agricoltura intensiva (come si faceva in Occidente) e perciò vivono come bestie.
Nota 3
Se questa è l’attualità, come mai troviamo genti slave stanziati a grandi distanze dal punto d’irraggiamento, a parte la predilezione per vivere “con” la foresta? E’ possibile che il cosiddetto periodo caldo del Medioevo abbia favorito una maggiore resa dei terreni già deforestati e migliorato perciò le condizioni di vita di coloro che vivevano sui (e dai) vasti latifondi meridionali. Chi invece, per aver nuovo terreno coltivabile, doveva abbandonare i vecchi abitati e fondarne dei nuovi nella foresta vergine, sapeva bene di dover abbattere migliaia di piante soltanto per costruire nuove abitazioni e per riscaldarle. E’ logico dunque che guardasse oltre la sua foresta alla ricerca degli angoli più facili da raggiungere, senza essere coinvolto obbligatoriamente in una massiccia migrazione.
D’altronde sapeva bene che i campi abbandonati ritornavano ad essere nuova foresta in una decina d’anni ed era di nuovo possibile ritornare a coltivarli con successo. Insomma è probabile che si trovasse più attrattivo impadronirsi dei campi altrui al posto di distruggere la propria preziosa foresta e quindi le scelte c’erano ed erano anche molte. Il problema erano le difficoltà da affrontare nel muoversi: Andando verso nordest le Paludi immense del Pripjat e la fitta foresta bielorussa costituivano un ostacolo non indifferente da superare e qui gli Slavi avrebbero premuto su Balti e Ugro-finni. Andando verso nord, ci si arrestava sul Mar Baltico e verso ovest c’erano i Franchi che fomentavano i Germani contro gli Slavi. La scelta del sud era quasi senza scampo, se si voleva migrare in modo permanente.
Da quanto fin qui detto cominciamo a percepire due modi diversi di pensare che si confrontano: Uno consolidato nell’idea di civiltà sedentaria e cittadina e un altro sull’idea di essere sempre “sulla frontiera”. Oggi sappiamo che fu il modo di vedere occidentale a prevalere, ma il concetto di essere indissolubilmente legati alla natura e ai suoi capricci non è mai decaduto presso gli Slavi. Dobbiamo sottolineare questo punto perché è l’aspetto “pagano” che ci spiega come un luogo fatto di alberi, animali e uomini che vivono insieme è un ambiente sacro nel vero senso della parola.
A ben riflettere è lo stesso pensiero che circolava per secoli in ambiente celtico e che la Chiesa ben conosceva. Eppure sin dal IV sec. d.C. proprio i monaci irlandesi intrapresero lungo il bacino del Reno la politica di una estesa deforestazione. Lo scopo era eliminare i templi druidici o di altri paganesimi, e far trionfare Cristo col lavoro dei campi, ma in verità guardando all’Ordine dei Cistercensi specialmente e alla sua intensa attività nella Mitteleuropa è chiaro che estendere l’area dei terreni coltivabili significava legare stabilmente i contadini alla terra affinché fornissero derrate e quant’altro necessario alla sussistenza delle classi superiori.
Nota 4
Istituzionalmente la gente medievale era divisa in Occidente in tre classi sulla cui cima c’erano gli Oratores cioè la Chiesa delle abbazie e degli ordini monastici ai quali seguivano i Bellatores cioè i signori feudali in armi. Queste due classi per ordine divino dovevano essere mantenute dalla terza ossia dai Laboratores o contadini. Era possibile trasferire le stesse concezioni fra i Pagani, insieme con i coinvolgimenti occorrenti ad un riordino della società nel senso sopradetto? Ne riparleremo più avanti mentre qui aggiungiamo che la scelta di avere più braccia nei campi col passar del tempo aveva provocato, oltre all’aumento di popolazione, delle pesanti storture in campo sociale che ora affliggevano la società cristiana occidentale. In altri termini il contadino si trovava a lavorare sul terreno disboscato di cui il signore si dichiarava proprietario e, non avendo più a disposizione la foresta da dove trarre tutto quel che gli serviva in prodotti e materie prime, aveva perduto ogni indipendenza economica e produttiva.
Nota 5
Ora era costretto a spendere più tempo in maggior lavoro per produrre il surplus da cedere al signore che pretendeva una ricompensa per aver messo il campo da coltivare a disposizione. Non solo! Il contadino doveva dipendere per quasi tutti i beni strumentali dallo stesso signore che gli forniva le materie prime per fabbricarseli!
La foresta quale giacimento naturale era perciò primaria e si cominciava a guardare con maggior insistenza all’Europa ancora coperta di alberi per impadronirsene. I primi tentativi in questa direzione si fecero sentire già a partire dal IX sec. d.C. in area polacca, poi lungo le rive del Mar Baltico e infine ai confini con Novgorod e Polozk. E fu proprio la necessità di conseguire maggiori territori da sfruttare che suggerì alle bande variaghe del Baltico l’idea di far nascere uno stato nel nord della Pianura Russa dove organizzazioni statali non c’erano mai state prima, ma c’era tanta foresta.
Anche nei Carpazi ai confini occidentali della città di Kiev erano attestate tribù slave che vantavano intime relazioni con il l’Europa dell’Ovest già da tempo. Sembra che, addirittura, fra queste nel 568 fu visto per la prima volta l’aratro pesante capace di rivoltare le zolle e aerarle in profondità. Fu solo un’apparizione sporadica, perché la rivoluzione agricola che il nuovo strumento avviò in Occidente, nel cuore della Pianura Russa, al contrario, la nuova tecnica non trovò applicazione! Evidentemente la volontà di deforestare per migliorare le rese in agricoltura non era nei piani economici dell’élite al potere del nuovo stato che, guarda caso, crebbe meglio proprio a Kiev…
Nota 6
Né possiamo dimenticare gli aspetti ideologici della questione, anche in questo caso opposti.
Nella cosmologia cristiana si proclamava che Dio avesse creato il mondo mettendo a disposizione dell’ essere vivente superiore ossia dell’uomo ogni risorsa esistente sulla terra perché se ne traesse tutto il benessere possibile e a piena giustificazione della deforestazione messa in atto!
Per gli Slavi al contrario che l’amministrazione o la proprietà di questi “beni terreni” ricadesse su ministri divini era assolutamente inaccettabile. La selva era parte del mondo e il mondo era dio per cui occorreva circospezione e umiltà nel muoversi in questo ambiente! Guardando bene le piante, gli animali e gli altri viventi, il pagano contemplava un unicum armonico di cui riusciva persino (se voleva) a percepire respiri e sentimenti. L’uomo era solamente una parte della società vivente e neppure quella superiore!
Nota 7
Se era “costretto” a prendere o ad utilizzare una qualsiasi cosa che gli servisse dalla natura circostante, in ogni caso avrebbe chiesto il permesso e il favore delle forze divine affinché queste non gli mostrassero alcuna ostilità all’attività di sfruttamento delle risorse. Chi “prelevava” avrebbe ripagato il dio padrone con un’offerta commisurata! Altro che impadronirsene tout-court! Nella tradizione slava si diceva che i primi uomini (gli antenati che da morti, abitavano nelle stelle e che ora erano a contatto diretto con gli dèi) avevano imposto a tutti il rispetto della comunità vivente inclusi piante e animali, prima d’ogni altra cosa!
Qui vi avevano localizzato i luoghi di culto e un comportamento aberrante avrebbe scatenato l’ira divina che si sarebbe riversata non solo su chi violava volontariamente, ma sull’intera comunità alla quale il violatore apparteneva. Insomma con tali regole vigenti da sempre (e non solo fra gli Slavi, ma in tutta la società nordica) la deforestazione rappresentava un atto altamente sacrilego, come si deduce persino dalle Vite dei santi ove l’ostilità dei pagani su questo punto è chiarissima!
Fortunatamente l’azione distruttiva occidentale non andò oltre i territori si fermò sulla riva destra dell’Elba e il resto della foresta nordica si salvò. Nella storia successiva si dimostrò per di più che, col traffico di quanto la sacra e preziosa risorsa rimasta intatta forniva, chi la sfruttava nel modo dovuto poteva prosperare con la benedizione degli dèi pagani e del dio cristiano.
La foresta è una variegata biocenosi di piante, di animali e d’altre specie viventi meno appariscenti che la natura ha inventato per colonizzare la terraferma nel modo più totale e più economico possibile. Si adatta sempre alla composizione (edafica) del suolo e alle locali oscillazioni climatiche, né è aliena all’uomo giacché proprio qui la specie Homo sapiens sapiens si è differenziata (oggi ne siamo scientificamente convinti) e, a parte sporadiche e avventurose sortite nei territori al margine, per millenni e millenni l’uomo non si è mai allontanato troppo da essa.
Note
(1) Original photograph courtesy by Gary Kramer / Natural Resources Conservation Service
(2) Immagine di pubblico dominio fonte "Andrees Handatlas" pagina 26, Velhagen & Klasing, 1901.
(3) Original photograph courtesy of by Hillebrand Steve / U.S. Fish and Wildlife Service
(4) Original photograph courtesy National Park Service
(5) Original photograph courtesy NOOA
(6) Original photograph courtesy of Tischer Gary / U.S. Fish and Wildlife Service
(7) Original photograph courtesy of by Goldmann Jo / U.S. Fish and Wildlife Service