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Come sono nati i coloranti naturali

La tintura è un’arte molto antica che risale ai primi uomini comparsi sul nostro pianeta. Raccontiamo come sono nati i coloranti e la loro storia lunga 70.000 anni.

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Cosa sono i coloranti naturali

I coloranti naturali venivano e sono estratti dal mondo vegetale, animale e minerale. Da millenni il loro utilizzo si è diffuso per scopi artistici, ornamentali, rituali, alimentari e anche cosmetici. Venivano ricavati da fonti vegetali quali foglie, frutti, bacche, radici, cortecce, legno, licheni, funghi e da altre fonti organiche quali insetti, molluschi, crostacei oltre che dal mondo minerale. Si ottenevano così le tinture che per secoli sono state usate dall'uomo prima di essere sostituite dai coloranti sintetici ottenuti per via chimica, più stabili ed economici anche se molto inquinanti.

Quando sono nati i coloranti naturali

Viste le recenti scoperte del 2017 che datano la nascita dell'uomo a circa 300.000 anni fa con il ritrovamento in Marocco delle prime forme e tracce umane, si fa risalire a circa 70.000 anni fa l'utilizzo di materie coloranti. Ne sono testimonianza l'utilizzo di colori naturali durante i riti funebri da parte dell'uomo di Neanderthal, che cospargevano il defunto con ocra rossa (pigmenti estratti da terre rosse quali l'ematite), dopo averla macinata e quindi polverizzata.

La storia dei coloranti naturali

L'uomo durante la preistoria, più precisamente durante il periodo paleolitico (iniziò circa 2,5 milioni di anni fa e terminò 10.000 anni fa) ha osservato i colori naturali che lo circondavano cercando di riprodurli utilizzando foglie, frutti, bacche, radici, cortecce, licheni, insetti, molluschi e minerali, creando così le prime tinture naturali. I colori principali erano il rosso il giallo, il bianco e il nero viste le materie prime a disposizione dell'ambiente in cui viveva tra le quali il carbone, le terre d' ocra, il calcare e il gesso e già 32.000 anni fa, l'uomo sapeva miscelare sostanze coloranti e dare vita a tavolozze policrome, attraverso le quali produceva disegni artistici realistici e dinamici.

Disegni preistorici

L'uomo primitivo utilizzava le pietre colorate e le argille per ottenere fantastici disegni sulle pareti delle caverne, che narravano le realtà di quei tempi come la vita quotidiana e la caccia. Nelle grotte di Lascaux (sud ovest della Francia nei pressi di Montignac) e nelle grotte di Altamira (nel nord della Spagna nel comune di Santillana del mar nella regione Cantabria), risalenti all'epoca paleolitica (25.000 a.C.) si possono ammirare meravigliose pitture parietali, riportanti il disegno di mammiferi selvatici, rappresentati di profilo, e quindi riconoscibili.

Disegni delle grotte  di Lascaux
Disegni delle grotte di Lascaux

Inoltre si ritrovano disegnate mani umane ottenute semplicemente imbrattando le mani con le polveri d'ocra colorate (derivate dall'argilla naturalmente colorata) e premendole contro la parete, oppure nel caso delle mani su sfondo colorato, veniva poggiata la mano pulita sulla roccia e con un dito, dopo averlo immerso nella polvere d'ocra, si passava nel contorno della mano e delle dita con il risultato negativo rispetto al primo esempio citato. Dato che la terra d'ocra ha un alto potere coprente ed è stabile all'umidità, alla luce e agli agenti atmosferici, questi disegni sono arrivati intatti fino a noi. Oltre alle terre d'ocra per le pitture murali l'uomo utilizzava anche la polvere di carbone vegetale, ottenuta semplicemente dalla combustione del legno, stendibile o attraverso i rametti stessi bruciati, oppure con ciuffi di peli di origine animale oppure il carbonato di calcio, elemento che si trova in natura sotto forma di minerale o roccia e le crete colorate, elementi naturali della terra ricavate dai minerali argillosi.

Disegni preistorici

Col passare del tempo e avviandoci verso il periodo neolitico (dal 10.000 al 3.500 a.C.) l'uomo inizia a tingere i tessuti di lana e di lino, cioè riporta i colori naturali ricavati da argille, fanghi ferruginosi e vegetali sui tessuti. La sua vita cambia radicalmente: si ritrova da una situazione di vita nomade, a quella sedentaria e produttiva del villaggio, diventando allevatore e agricoltore. Si pensi ai resti dei primissimi villaggi costruiti su palafitte a Ledro in trentino (nei pressi di Molina di Ledro), dove sono state scoperte tracce dell'arte della filatura, della tessitura, e parallelamente dell'arte tintoria, della coltivazione delle piante tintorie: Rubia tinctorum, Isatis tinctoria (nota come guado) e Arctostaphylos uva-ursi (uva ursina).

Anche in Austria sono stati scoperti resti di villaggi su palafitte, testimonianza preziosa della vita preistorica (risalente al periodo che va dal 5000 a.C al 500 a.C.). Con il ritrovamento di aghi e arnesi per la tessitura si arriva alla conclusione che anche qui già da allora si tesseva e si tingevano i tessuti in maniera naturale e duratura. Le analisi del terreno di quella zona dimostrarono che esso conteneva un tasso elevato di sale. Da questa dimostrazione si risalì alla caratteristica dei coloranti (derivati da piante terre ecc..) che risultarono contenere sale contribuendo così alla loro permanenza sui tessuti, perchè il sale agisce come catalizzatore fissando in maniera permanente il colore.

Intorno al 3.000 a.C. grazie al primo faraone Menes il cui regno durò circa sessant'anni, si sviluppò nella valle del Nilo la civiltà egiziana, e proprio a tale civiltà appartiene la tintura di un pregiato tessuto, il lino, che cresceva facilmente sulle sponde del Nilo. I colori utilizzati per i tessuti di lino andavano dai blu, ai turchesi e all'ocra rossa, preparati con una miscelazione di pigmenti ottenuti dalla macinazione di terre colorate, con aggiunta di una sostanza collosa formata da acqua, lattice di gomma e albume d'uovo, stesi con dei pennelli realizzati dalle fibre di palma.

Ogni colore nell'arte tintoria Egizia, aveva un suo ben preciso significato. A esempio Osiride veniva rappresentato con la pelle color verde, perchè aveva grande influsso sulla vegetazione e sulla fertilità (ricordiamo a questo proposito il culto di "Osiride vegetante" che riguardava il rito funerario che stava a simboleggiare la morte della vegetazione e la sua rinascita a primavera).

Anche in India si sono trovare testimonianza dell'arte tintoria grazie a un reperto tessile trovato a Mohenjo Daro (città risalente al 2600 a.C), la cui colorazione e stata effettuata con la Rubia cordifolia testimonianza a sua volta della conoscenza e uso dei mordenti gia nel II millennio a.C. per il colore rosso e nero e tutte le loro varianti. Con l'indaco si crearono invece infinite gamme coloristiche grazie alla conoscenza tecnologica acquisita.

A partire dal V secolo fino a tutto il 1600, il diffondersi della tecnica dell'arte tintoria indiana, portò a un notevole aumento del commercio dei tessuti tra India e sud-est asiatico, questo fece si che i viaggiatori portoghesi apprendessero le tipologie e la conoscenza dell'immensa varietà tessile e decorativa indiana. Per trarre maggior profitto si iniziò quindi a smerciare i tessuti indiani in tutta l'Europa, provocando di conseguenza una crisi all'industria tessile locale, che venne superata notevolmente dal sistema di produzione Indiano.

Ai cinesi appartiene la tintura della seta con i suoi rossi, gialli nero e bianco. E' stata trovata testimonianza in un antico testo riportante l'esistenza di laboratori per la colorazione della seta (risalente al periodo tra il 3.000 e il 2.000 a.C.) con sostante coloranti e mordenti, contenenti un alto tasso di tannini, sopratutto per la colorazione delle sete nere.

Tingere i tessuti nell'antichità

Già dal 2.000 a.C. i tintori locali dell'antico Egitto presero a sfruttare i giacimenti di allume di potassio, sostanza utilizzata come mordente per la tintura dei capi di lana di pecora, poco apprezzata perchè ritenuta impura essendo di origine animale (e tuttoggi uno dei mordenti più utilizzati). Infatti a esempio, chi indossava abiti di lana non poteva accedere ai templi, mentre per il procedimento di tintura del lino come mordente utilizzavano dell'urina o succo di limone e altre sostanze vegetali, facendo di quei tessuti, dei tessuti puri.

Sempre agli Egizi viene attribuito il primo manuale dell'arte tintoria, chiamato Papiro Holmiensis (o Codice di Stoccolma) che venne trovato per caso nel 1828 nelle vicinanze di Tebe (3400 a.C. primi secoli dell'età del bronzo), situata lungo le sponde del Nilo. Tale manuale venne donato alla Regia Accademia di Stoccolma da cui prese il nome, riportante le ricette delle tecniche di colorazione dei tessuti e la loro mordentatura. Successivamente nel 1906 il manuale venne tradotto dal filologo Otto Largercranz riportando alla luce una settantina di ricette di tinture tessili e tecniche per ottenere i colori.

A Tiro (città fenicia libanese che risale all'età del bronzo intorno al 2.750 a.C.) già nel 1.600 a.C i tessuti colorati con la porpora di Tiro, un colore pregiatissimo, rinomato nella storia dell'arte tintoria, andavano diffondendosi in maniera grandiosa nei ceti più elevati (era riservata alle tuniche di aristocratici e imperatori). Questo fece in modo che dal 1500 al 1400 a.C i fenici ottenessero la fama di grandi tintori per la perfezione della tecnica nel creare e utilizzare la porpora di Tiro.

Si trattava del cosiddetto porpora reale o viola imperiale associato all'aristocrazia, un colore rosso molto particolare, ottenuto dalla ghiandola di una chiocciola di mare il Murex brandis, che veniva sottoposta a macerazione sotto sale per una decina di giorni, all'interno di tini di piombo o stagno, fattore questo che probabilmente contribuiva al risultato del rosso porpora. Il ricavato di questa macerazione era un liquido giallastro che una volta esposto al sole sia sotto forma di liquido o impregnato su un tessuto grazie ad una complessa reazione fotochimica mutava nel rosso porpora provocando un fetido odore che grazie a esso dava riconoscibilità del manufatto, ecco il perchè il lavoro di tintura era svolta al di fuori della città o villaggi. Il pregio di questo colore era dovuto al fatto che la sua estrazione non era un'operazione semplice ma alquanto macchinosa. Si pensi che per circa un grammo di colorante si dovevano utilizzare circa 9000 molluschi. Un grammo bastava solo per tingere un piccolo bordino di un vestito di dimensione normale. Questo significava dover sacrificare migliaia di esseri marini, i quali venivano prima faticosamente raccolti poi sezionati per estrarre il liquido (la loro arma di difesa qualora venissero attaccati).

Tale laboriosa estrazione faceva salire il costo di questa materia, ecco perchè i ricchi potevano permettersi di acquistare i tessuti per le loro vesti e farne sfoggio per distinguersi dai poveri. I Fenici crearono delle colonie per la produzione di tali molluschi importandoli anche da altre regioni mediterranee e dal golfo di Aqaba nel mar Rosso. Divennero così conosciuti come i maggiori tintori del bacino del Mediterraneo e nel 1000 a.C. crearono un vastissimo impero commerciale basato sullo smercio di sculture in avorio oggetti in metallo, legno di cedro, vino, olio d'oliva e porpora di Tiro. Dopo la loro sottomissione nel 1400 a.C. da parte dei Greci, e successivamente dai Romani, scomparvero gradualmente mentre la loro tecnica tintoria continuò a diffondersi, portandosi avanti come tecnica destinata alla colorazione dei tessuti reali e imperiali.

Agli Assiro-Babilonesi (siamo nel 1115-606 a.C.) appartiene la tintura della lana, con i loro vivacissimi rossi, gialli, grigi, bianchi, bruni e blu, utilizzando come procedimento l'utilizzo di sostanze vegetali naturali, con processi di ammollo, ebollizione risciacquo e asciugatura.

Si narra che il filosofo greco Democrito (460 a.C. – 370 a.C. circa) durante i suoi viaggi in Egitto, avrebbe raccolto numerosi segreti sull’arte tintoria. Queste informazioni si ritrovano poi nel Papyrus Leidentis e nel Papyrus Holmiensis dove si descrive, tra le altre cose, il processo della tintura al tino col guado (pianta Isatis tinctoria, una delle più antiche fra le piante tintorie).

Dell'arte tintoria ce ne parla anche Plinio il Vecchio (24 a.C 79 d.C ) che racconta di un suo soggiorno in India durante il quale assistette stupito alla colorazione di tessuti che una volta spalmati di paste che assorbivano il colore e immersi in una soluzione colorata riemergevano tinti in più colori. Si trattava del risultato della tecnica della colorazione con i mordenti senza i quali era impossibile ottenere la tintura, perchè questi agiscono da intermediari tra le fibre del tessuto da colorare e il colorante dei pigmenti utilizzati, eliminano le impurità, assicurano una maggiore tenuta del colore.

Ai Giapponesi appartiene la tintura della seta con il loro bianco, blu, giallo, nero, rosso rosa e viola. Una tecnica secolare di tintura giapponese e la tecnica Shibori. Questa tecnica consiste nel piegare e legare il tessuto prima di immergerlo nella tintura con fiori di indaco, radici viola e radici di robbia per ottenere sfumature varie di blu viola e rosso. Oppure basilico e sambuco.

Tingere i tessuti nell'antichità
Radici di robbia

In sud America Maya, Aztechi, Toltechi e Inca tingevano cotone e lana di alpaca e di vigogna con colori brillanti ottenuti da radici, cortecce, legno e rosso di cocciniglia. Dopo la scoperta delle Americhe questi materiali contribuirono a rivoluzionare le tecniche della tintura dei tessuti in Europa.

Agli Indiani del nord America appartiene la tintura della yuta e delle ruvide lane del montone con il loro nero, rosso, giallo blu ottenuti da pigmenti estratti dalla roccia o dalla terra, applicati con steli di legno e fissati con la colla fatta di corno di montone bollito e i resti di raschiatura della lavorazione delle pelli e del succo di cactus.

Da allora l'arte della tintura dei tessuti ha fatto molti passi.

Nel periodo medioevale (che va dal 476 d.C. anno della caduta dell'impero romano al 1492 con la scoperta dell'America) l'arte tintoria diventa una vera e propria professione e diventa un'arte florida in tutta Europa. La tecnica più diffusa nel Medio Evo era la tintura al tino, che consisteva in un bagno del tessuto in una sostanza colorante portata a ebollizione e agitata, con lo scopo di imprimere il colore nel tessuto. La permanenza del colore veniva maggiormente fissata con l'aggiunta di sali e acidi tra cui ricordiamo l'urina, poco costosa, che veniva raccolta dagli orinatoi vespasiani, dove si riusciva a raccogliere enormi quantità di urina per via dell'elevato numero di persone che costituiva la popolazione.

Non era cosa facile ottenere tessuti di colorazione uguale infatti per questo motivo veniva scelto un mastro tintore di fiducia, capacissimo e abilissimo nello svolgere il lavoro della tintura del cotone e della lana, i cui bagni di colore avevano differenti tempi di ebollizione sopratutto per la lana, essendo molto più delicata del cotone, per la quale bisognava sapere regolare il tempo del bagno e dell'ebollizione per evitare di danneggiarla con il calore.

Tintori al lavoro
Tintori al lavoro

I maestri della colorazione dei tessuti erano i tintori categoria classificata litigiosa per via dei loro contrasti nei confronti dei tessitori e conciatori che non si limitavano a tessere e a conciare, ma anche a tingere non avendone il diritto, creando reciprocamente situazione di disagio per questi tre mestieri. Consideriamo i tintori e i conciatori. Entrambi utilizzavano le acque del fiume per svolgere il loro mestiere, quindi quando un tintore sporcava le acque con il colore, i conciatori non potevano far macerare le pelli nell'acqua sporca e al contrario quando i conciatori riversavano nel fiume le acque sporche di concia i tintori non potevano più utilizzarle. La soluzione a tutti questi problemi venne risolta quando tintori e conciatori vennero fatti andare a esercitare il loro mestiere fuori città. In questo modo si ridussero i loro contrasti. I tintori dovevano avere una licenza che gli consentiva di tingere solo con un unico colore, quindi vi erano i tintori di blu, i tintori di rosso ecc. Si distinguevano a seconda della materia prima utilizzata per la realizzazione del colore a esempio la robbia (radici della pianta Rubia tinctorum ), il chermes (colorante rosso vivo ricavato dai corpi essiccati delle femmine di alcune specie di cocciniglia) per il rosso. Questa suddivisione portava quindi anche a controlli e imposte differenti, ad una diversa tecnica tintoria e ad avere una differente clientela.

Intorno al 1400 in Italia dopo le crociate la tecnica tintoria del tessuto e dei filati assunse grande importanza nell'industria tessile. Firenze è una delle città dove sorsero ben 200 laboratori di tintoria e da qui si diffusero anche in Francia e in Inghilterra.

Stemma dei tintori a Firenze
Stemma dei tintori fiorentini - Nota 1

Le tecnologie progredirono pian piano e con esse si evolse l'arte tintoria che non si limitava più all'utilizzo di sostanze naturali durante la fase di colorazione o mordenzatura, ma introdusse sostanze chimiche e l'utilizzo di macchinari sempre più sofisticati e costosi. Tra le nuove materie introdotte ricordiamo il catrame che segna un'era di operazioni tintorie non più ecologiche come invece lo erano state in passato.

Dal quattrocento in poi i trattati che parlano di arte tintoria non si contano più. Si trovano centinaia di ricettari e manoscritti con le pratiche più disparate di tintura dei tessuti.

Nel 1700 venne importata dall'Asia in Europa la tecnica blaudruck (oggi è ufficialmente un bene immateriale dell’Umanità). Più precisamente venne importata da quei paesi dove l'arte tintoria era notevolmente diffusa: Cina, Giappone, India, Indonesia e questo grazie alla compagnia Olandese delle Indie Orientali. Questa tecnica artigianale consiste nel tingere il lino e il cotone di blu indaco, solo dopo aver decorato i tessuti con dei disegni impressi con degli stampi di legno e metallo sulla stoffa e cosparsi di colla naturale, al fine di conservarli bianchi. L’effetto è particolare perché i disegni sembrano stampati, mentre, semplicemente, non si sono colorati perchè essendovi la colla, questa impediva al colore di penetrare tra le fibre rendendoli appunto bianchi.

Tessuto tinto con la tecnica del blaudruck
Tessuto tinto con la tecnica del blaudruck

L'arte tintoria indiana fu importata in Europa, soprattutto in Francia tra il 1731 e il 1732. I francesi copiarono dagli indiani (a loro insaputa) ben 11 processi decorativi, allegando a ognuno un pezzetto di tessuto decorato e tinto con la tecnica appropriata.

Verso l'inizio del 1800 l'arte tintoria dei tessuti era un arte molto fiorente ovunque. Ogni popolo per colorare le fibre naturali utilizzava colori facilmente reperibili, estratti da piante, animali e terre del luogo dove abitava, e sempre nel 1800 venne introdotto il colore blu indaco sintetico, e da questo momento si va incontro al disuso dei coloranti naturali.

Nascita dei coloranti sintetici

A partire dal 1856, nascita del primo colorante sintetico, si ha una rivoluzione nell’arte tintoria. Il primo colorante realizzato venne chiamato mauveina (porpora di anilina) dall'allora diciottenne William Henry Perkin (chimico inglese vissuta tra il 1838 e il 1907), di tonalità porpora inventato per caso mentre cercava di sintetizzare un vaccino antimalarico usato per curare appunto la malaria.

Successivamente si riuscì a produrre tutti gli altri coloranti derivati dal catrame. Da allora i coloranti sintetici vennero impiegati per tingere tessuti, nella pittura, nella decorazione, essendo costituiti da formaldeidi, fenoli, benzoli. In pratica si tratta di coloranti che hanno una componente naturale che viene modificata chimicamente.

I coloranti sintetici rispetto a quelli naturali hanno il vantaggio di resistere di più nel tempo, hanno un minor costo per il fatto che per riprodurli ci vuole minor tempo, ma hanno lo svantaggio di essere molto inquinanti.

Fu però nel lontano 1862 che vennero presentati per la prima volta a Londra tessuti tinti con sostanze coloranti derivate dal catrame, inaugurando in questo modo, la nascita dei coloranti sintetici e aimè anche la nascita di una delle arti più inquinanti che ci sia.

Attualmente il processo di tintura dei tessuti sta andando avanti ed è in continua evoluzione e studio. Questo perchè le moderne tecniche di tintura si stanno mettendo al bando a causa del loro grande impatto ambientale e anche perchè è stata scoperta una componente cancerogena nei coloranti usati in parecchi capi d’abbigliamento di grandi marche. Per questa ragione i coloranti naturali si stanno rivalutando.

Note
1. Immagine concessa sotto licenza
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