Come sono cambiati i parametri dei consumi alimentari e di biodiversità nel corso degli ultimi 20 anni
Il problema dello spreco alimentare sta diventando sempre più preoccupante soprattutto nel nostro bel paese. Secondo recenti elaborazioni si stima che in Italia il 40% della frutta, della verdura e della carne ogni giorno in Italia viene sprecata. e anche i dati degli altri paesi confermano tale tendenza: in Inghilterra ogni anno 18 mln di tn di alimenti sono gettati via per un costo annuo di 10 mld di sterline; in Svezia in media ogni famiglia spreca il 25% del cibo acquistato. Nei 27 paesi dell’unione si sprecano 179 kg di cibo pro-capite all’anno. Recuperare una parte di questi alimenti avrebbe dei grandi benefici a livello ambientale e sociale. Ogni anno in Italia prima che il cibo giunga nei nostri piatti, se ne perde una quantità che potrebbe soddisfare i fabbisogni alimentari per l’intero anno di ¾ della popolazione italiana, cioè circa 45 ml di abitanti. Potremmo dire che l’Italia perde lungo la filiera tanto cibo quanto quello che ogni anno consuma un paese come la Spagna, con 6 mln di tn di alimenti che finiscono nei rifiuti. Sarebbe possibile recuperare cibo per un valore di circa un mld di euro (valore al kg di 3,8 euro) per un tot. Di ben 580.402.025 pasti all’anno evitando l’emissione in atmosfera di quasi 300.000 tn di CO2.
E’ come se buttassimo via il 3% del nostro PIL.
Altro aspetto della peculiarità e fragilità delle attuali filiere produttive è la semplificazione della diversità genetica nella produzione agricola. L’Italia ormai da alcuni decenni non ha un Piano Agricolo Nazionale; andiamo ai tavoli delle trattative europee sempre divisi in regioni che quasi mai portano avanti obiettivi comuni. Non c’è una strategia. Alcuni segnali positivi arrivano dalla Conferenza Stato-Regioni del 7 ottobre 2010 con l’annuncio dell’approvazione della modifica del Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale programmazione 2007-2013, nonché l’intesa sullo schema di “Strategia nazionale per la biodiversità”, predisposta dal MIPAAF; in quest’ultimo documento viene riconosciuto il ruolo centrale che la politica agricola e di sviluppo rurale hanno nella salvaguardia delle risorse naturali e nella protezione della biodiversità.
Si tratta di un 1° tassello che mette in comunicazione quanto previsto dalla Rete Natura 2000 e dalla Direttiva Habitat e a favore del processo di integrazione fra agricoltura e biodiversità e su questa strada occorre proseguire. La perdita di diversità genetica nel mondo agricolo è un fenomeno che riguarda non solo l’oggetto della produzione ma anche l’ambiente rurale nel suo insieme. La rarefazione dell’agroecosistema con la scomparsa di siepi, filari, boschetti, fasce alberate al fine di favorire la meccanizzazione ha portato alla scomparsa di organismi utili di controllo biologico alle avversità. Non solo anche l’abbandono di certe pratiche agricole ha portato all’impoverimento dell’ ecosistema: la scomparsa delle rotazioni in favore della monocoltura ha portato a una consistente riduzione di sostanza organica nel terreno e con essa della microflora e microfauna utile.
L’obiettivo della multifunzionalità che l’Europa chiede al mondo agricolo è quindi perfettamente raggiunto se si riparte dalla biodiversità come fattore di produzione. Prodotti meno standardizzati e più tipici, salvaguardia delle risorse naturali, riscoperta di giacimenti enogastronomici, ospitalità turistica alternativa e fruizione del paesaggio con l’imprenditore agricolo quale soggetto principale che deve essere protagonista di queste innovazioni e nella gestione di nuovi processi produttivi e di una moderna politica rurale