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Viaggio in Slovacchia
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Il mio viaggio in Slovacchia
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Un'altra avventura... un nuovo camper... una caramella come chihuahua

Giovedì 2 ottobre 2003, partenza h. 10 Km 0,00

Mai uomo fu più "unico"!

Alla conquista di Bratislava, Romano viaggia con due donne (le solite: Mimma ed io)

Slovacchia, racconto di un viaggio
Romano
Slovacchia, racconto di un viaggio
Io (Alba)
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Mimma

e cinque cagne, di cui due in calore (Bonita e Querida), due prossime al calore (Tequila ed Abril) ed una new entry capellona, cioè a pelo lungo (Caramella), appena affidata alle cure di Mimma da allevatori amici.

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Bonita
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Tequila
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Querida
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Abril
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Caramella

I dolci, vigili, sapienti occhi di Pepito non ci accompagneranno in questo viaggio, né le intemperanze senili di Ramon. Non ci accompagnerà neanche Alfredo, mio marito, rimasto ad intrattenere i ladri nel caso decidessero di fare un’altra "capatina", dopo l’incursione estiva, che ci avvelenò il viaggio in Croazia e Montenegro.

Non c’è neppure Juanito, il mio chihuahua, rimasto a casa a far compagnia al suo "babbino" ed a godersi lunghe dormite, sdraiato a gambe all’aria sul divano.

Quindi la solitudine del Condottiero, Romano, è totale.eccetto che per un'altra new entry, diciamo di genere maschile: il nuovo camper!

Sdegnoso, superbo, intatto, luccicante di cromature e decorazioni raffiguranti snelli levrieri in corsa, è entrato, come protagonista principale delle nostre scorribande europee, l’aristocratico Don Antonio Ecovip Camper, che ha sostituito con alterigia lo scalcagnato, scompigliato, sconquassato Giacomino, eroe di tante avventurose scorrerie.

Chissà dove sarà e come sarà adesso, abbandonato (incerottato e legato con corde e nodi a cappio) al centro di vendita da cui è stato prelevato, smagliante di giovinezza e rampante come un puledro, il nobile Don Antonio .

Patetico, tenero Giacomino, generoso nel lottare contro la tua stessa vetustà: ti auguro una meritata, riposante vecchiaia nella campagna toscana!

Il rutilante Don Antonio non perde occasione per offrirsi in tutta la sua fresca, aggressiva bellezza. Carico di giovanile arroganza Don Antonio Ecovip Camper ruggisce, supera, svetta lungo le autostrade, identificandosi nell’agilità leggiadra delle linee slanciate raffiguranti i due levrieri in corsa, che decorano le sue pareti esterne.

La maestosità delle Alpi al tramonto nel Tirolo, lungo l’autostrada per Innsbruck, mi ha, come sempre, mozzato il respiro; la loro possente, severa rigidità, silenziosa ed incombente, mi opprime e mi esalta.

Venerdì 3 ottobre 2004, partenza h. 9,45 Km 560

A Volders, in un campeggio ai piedi di un castello austriaco, Don Antonio Ecovip Camper si è concesso un ritemprante riposo, e noi con lui.

Stamani aitante e rifocillato è ripartito rampante verso Vienna.

Noi siamo un po’ meno rampanti, infatti, la tosse ci sconquassa giorno e notte, gli sciroppini vengono cavallerescamente scambiati e consigliati per le loro proprietà mucolitiche, insieme a caramelle emollienti, e gli antibiotici presi con religiosa puntualità.

Non ci arrendiamo né alle costipazioni, né agli anni che passano e che dovrebbero indurre alla saggezza. Mi rendo conto, infatti, che come vecchi siamo poco saggi, se saggezza vuol significare prudenza ed immobilismo, ma molto avventati, se avventatezza vuol significare curiosità, desiderio di vedere o conoscere, volontà di non riporsi anzi tempo in un’attesa passiva dell’evento finale.

Se ci guardo dal di fuori, questi vecchietti arzilli ed inarrendevoli che noi siamo mi piacciono molto, anche se so che i nostri giovani figli, generi e nuore, quando pensano a noi, vaganti per l’Europa, giustamente scuotono la testa, con un trattenuto sospiro di preoccupazione e malcelata disapprovazione.

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Nel primo pomeriggio Don Antonio prosegue tutto scodinzolante a briglia sciolta verso Vienna, dopo una buona bevuta di diesel. Noi, invece, abbiamo sorbito una tonificante nudelsuppe e, finalmente, assaggiato il vero strudel, tiepido e confortante.

Sabato 4 ottobre 2004, partenza h.16 Km 1,014

Un fantastico cielo celeste, decorato di nubi a batuffolo bianche e di pennellate sfumate di nubi grigio perla, ci rischiara la via verso Bratislava, dopo una mattinata viennese inzuppata di pioggia. Nella vivida, nitida luce di un cielo d’Ottobre ci allontaniamo da Vienna, capitale storica e fastosa di un impero decaduto.

Nella sua atmosfera di elegante signorilità e sottile romanticismo, affiora anche una nota di patetica malinconia, legata alla memoria di un passato grandioso ed imponente dissoltosi, ormai da quasi un secolo, nelle violenze della Prima Guerra Mondiale.

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Vienna: testimonianze di un passato glorioso

Nota di patetica, romantica malinconia affidata alle pariglie di cavalli che trainano landaus di lucido legno bianco, nero, bordeaux, con vetturino in marsina e bombetta, trasportando turisti stupiti ed un po’ imbarazzati per le vie dell’imponente centro storico, facendone risuonare il selciato con lo schioccare ritmato dei pesanti zoccoli.

La carrozza più bella l’abbiamo vista ieri sera, quando in una tiepida notte autunnale, abbiamo scoperto il centro storico, mischiandoci ai cittadini della capitale, mangiando würstel e bevendo birra. Era un landau bianco trainato da un cavallo bianco ed uno nero e guidato da un vetturino rigorosamente in nero dalla bombetta alle scarpe.

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Un altro landau, che mi ha suscitato un moto d’allegria, è stato quello, non in servizio, condotto da un vetturino mezzo addormentato, con gli occhi quasi chiusi e le briglie molli fra le mani, ma trainato a trotto vivace e gioioso da una pariglia di cavalli storni, che avevano tutta l’aria di sapersene tornare a casa, cioè alla stalla per un meritato riposo, anche senza la guida del loro padrone.

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E stamattina sotto la pioggia battente siamo saliti sulla ruota del Prater, simbolo e battito del cuore di Vienna, per veder arrivare da lontano una luce che avrebbe sfilacciato la cortina buia delle nubi ed asciugato il cielo, per restituirci un’aria trasparente e lavata che avrebbe impreziosito la nostra scoperta della città.

Come grandi uccelli a tre ali, i pali dell’energia eolica dritti su una pianura carica di colori che vanno dall’ocra a varie tonalità di verde, al marrone bruciato, ci danno il benvenuto in Slovacchia. Il cielo dai toni pastello si appoggia basso sulla pianura quasi a coprirla, proteggendola.

Bratislava ci accoglie col vasto abbraccio di uno svettante ponte sul suo ampio, luccicante Danubio.

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Domenica 5 ottobre – Lunedì 6 ottobre 2003

EURÓPESKA VÝSTAVA PSOV BRATISLAVA 2003

Il fascino della vecchia Europa vive ancora in questa città rimasta un po’ appartata ed incontaminata dall’esplosione violenta del progresso. Lo stile riservato, non appariscente, ma educato e discreto di una certa concezione di vita fa ancora parte del respiro di questa riposta, quieta città.

La cerimonia finale dell’Esposizione Canina Europea ha conciliato momenti di modernità con altri di distinta classicità.

Slovacchia, racconto di un viaggio
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Slovacchia, racconto di un viaggio

Le Majorettes che intervallavano le varie premiazioni non scadevano mai nello sguaiato o nell’esibizione eccessiva, ma restavano nei confini del buon gusto e della grazia. Aiutate in questo da una gentile fisicità, da lineamenti delicati e minuti, dalla spontaneità divertita ed un po’ ironica dei loro interventi.

Le più deliziose sono state le Majorettes che hanno introdotto la premiazione finale del " Best in Show": bambine dagli otto, nove ai quattro anni circa che, con la grazia acerba ed impacciata della loro giovane età, eseguivano garbate figurazioni a tempo di musica.

Sarà l’età che mi porta a tanto, ma osservare la giovinezza m’intenerisce e mi commuove l’impegno generoso che c’è dietro la preparazione di certe esibizioni.

Durante la cerimonia di chiusura, anche questa volta sono rimasta estasiata a veder ballare una giovane ragazza con il suo Doberman: è stato uno spettacolo che è andato al di là dell’addestramento, del lavoro paziente, della leggiadria, della grazia, della fantasia, della musicalità, della simbiosi fra cane e padrone, è stato uno spettacolo che è sconfinato nell’arte, un’arte d’amore come scaturisce solo fra due individui che si donano senza riserve l’uno all’altra, trasformando la reciproca fatica in un incontro di gioiosa partecipazione.

La grazia leggera delle loro movenze aveva l’impalpabilità di un merletto, di una trina ricamata su di un tulle trasparente e fluttuante nell’aria: il Doberman, normalmente sinonimo di aggressività, ed a volte di ferocia, giocava con le note ed il ritmo adeguando la sua struttura compatta alla leggiadria della danza, con l’entusiasmo ed il talento di un ballerino professionista, che abbia l’inaspettato onore di esibirsi insieme alla sua grande maestra di danza.

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Bonita

In questa atmosfera da vecchia Europa, con alcuni giudici (uomini) in smoking ed altri giudici (donne) in lungo con strass, dopo una competizione molto accesa e molto contestata da vari allevatori per i metodi di giudizio (addirittura i nostri vecchi amici-avversari di Gibilterra venivano a confidarsi ed a farsi consolare da me per essersi visti esclusi, dopo la prima selezione, esemplari bellissimi, ma con la dentatura incompleta, cosa che per la piccole bocche dei chihuahua viene normalmente considerata irrilevante).

La nostra reginetta Bonita è arrivata terza. Niente male per un’Esposizione Europea…e poi ci sarà sempre Barcelona per la prossima Europea, a Giugno dell’anno prossimo!

Durante i nostri viaggi almeno un’incursione mangereccia è d’obbligo. Oggi, dopo aver superato noi stessi arrivando in centro tutto da soli, facendo biglietti e prendendo tram come incalliti slovacchi, abbiamo cercato un tipico ristorante slovacco ed ordinato piatti della loro cucina.

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Ristorante tipico di Bratislava

Seduti su sedie di legno drappeggiate con pezzi di pelliccia a mo’ di vecchi pastori della pianura, ci siamo mangiati una stupenda Suppe d’aglio servita in una pagnotta decorata con un batuffolo di panna acida spruzzato di prezzemolo ed una vassoiata di carni (buonissime), peperoni (piccantissimi), patate (arrostitissime), palacinke (sottilissime), crauti (coloratissimi), mais (giallissimo), fettine di cetrioli (tondissime) ed una specie di trofie fatte in casa (graditissime).

Il tutto annaffiato da un vinello rosso di non alta gradazione ed accompagnato da vari tipi di pane al sale, al sesamo, ai semi di papavero ed altro, che mi facevano "svenire" di piacere, da fanatica cultrice del pane fresco e morbido, quale io sono.

Mi hanno quasi trattenuto "a braccia" per impedirmi di farmi una piattata di palacinke con panna montata, decorata di cioccolato fuso.

Ho rinunciato un po’ "per modestia", un po’ per non far rabbia a Mimma che, grazie al suo diabete (di cui si ricorda solo a tratti!) non può mangiare i dolci…ma non è detto che a Budapest riuscirò ad essere così saggia.

A Wien ci siamo perse le Wiener Schnitzel (scaloppine alla milanese, secondo il detto italiano) che Mimma alle 11,30 del mattino voleva mangiarsi alla "Taverna Greca", uno dei locali più particolari della Vienna mediovale, vicino al Danubio. Il suo desiderio è rimbalzato sulla lista dei prezzi appesa fuori del locale ed è subito rientrato, con gran sollievo di Romano.

Non solo, ma Mimma ha anche decretato che le Wiener Schnitzel o le mangiavamo alla "Taverna Greca" o non le avremmo mangiate per niente, perché altrove non avrebbero avuto lo stesso fascino….

Così abbiamo ripiegato su di un tozzo di pan duro corredato di un po’ di formaggio e mezza mela, mangiucchiati qualche ora dopo, quando siamo ritornati nell’intimità del nostro Don Antonio Ecovip Camper, rampante rampollo d’ultima generazione.

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Lo sgomento dei prezzi

Martedì 7 ottobre 2004, partenza h. 13 Km 1.142

Ci allontaniamo da Bratislava diretti a Budapest con Don Antonio Ecovip Camper vuoto, pieno, carico.

Don Antonio Ecovip Camper è aristocratico anche nelle sue funzioni più terrene. I tempi gloriosi della concimazione Andalusa o dell’immane sacco verde trasportato sul carrellino da valigia verso i WC Herren della Germania sono sfumati in un’attrezzatura funzionale e decorosa, che niente ha da spartire con gli affanni procuratici dal pressappochismo dello scassato, ma mitico Giacomino.

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Danubio a Budapest

Oltre al normale bocchettone di scarico WC, all’occorrenza siamo forniti di un carrello rigido, provvisto di ruote, per eventuali trasporti di materiale, possediamo non uno, bensì due serbatoi che ci permettono abbondanza d’acqua e quindi di docce, rompendo ormai definitivamente il sortilegio delle docce gelate, che ha perseguitato Mimma in tutti i precedenti viaggi; inoltre abbiamo un govone vasto e facilmente accessibile, che ci permette grandi scorribande e rifornimenti nei vari ipermercati, uguali in tutto, salvo per la lingua, a quelli nostrani.

Comunque siamo "forti": un po’ col dizionario, un po’ con i gesti, un po’ con l’inglese, un po’ con le venti parole tedesche conosciute, un po’ con l’italiano imbastardito e storpiato che Romano, chissà perché, sfodera ogni volta che passiamo il nostro confine, siamo riusciti a sbrigacela in tutte le situazioni e ad ottenere ciò che volevamo.

Ore 13,25, passiamo adesso il confine con l’Ungheria: cambio di dizionario e tuffo nella lingua magiara, che spavento!!!

L’imponente maestosità di Budapest, eretta come una sovrana, solenne ed altera, lungo il suo magnifico Danubio, sbigottisce.

Addentrandoci con il camper dentro il suo vasto centro, frastornati dal traffico e dalla pioggia battente, non smettiamo d’indicarci, stupiti ed ammirati, cupole, castelli, costruzioni sontuose e ponti grandiosi.

Ma nemmeno l’ombra di un camping!!!...Finché con le tre uniche parole di magiaro che siamo riusciti a mettere insieme, abbiamo sbloccato la situazione ed eccoci al Camping Romai Fürdu, acquattati nei nostri loculi, dopo una cenetta intima circondati e sopraffatti dalle cagne, in procinto di una sana dormita, nell’attesa di un domani che ci permetta d’incontrare ed apprezzare una cultura per noi poco conosciuta

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Centro di Budapest

Stanotte Don Antonio Ecovip Camper ha opposto, indomito, una tenace resistenza ad un impietoso temporale, che l’ha flagellato da tutti i lati.

Come già avvenne al "Parc des Expositiones de Le Bourget" a Paris con l’epico Giacomino sferzato senza pietà da una notte di tempesta, il nostro rifugio ha gloriosamente tenuto, anche se al mattino, grondante acqua a rivoli, col tendalino sbilenco e le ruote nel fango, aveva poco della sua aristocratica, giovanile baldanza.

L’abbiamo abbandonato in compagnia delle cagne, senza curarci troppo del suo stato d’animo e siamo corsi alla scoperta di Budapest.

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Ci siamo riconfermati nella nostra ammirazione per la grandiosa magnificenza con cui Budapest si distende sulle rive del suo luccicante fiume, incastonandole con le pietre preziose delle sue imponenti costruzioni.

E’ una città di grande respiro, solenne e cialtrona allo stesso tempo, ma assolutamente superba e regale, quando incoronatasi del suo fiume, si offre compiuta in tutto il suo plendore.

Non potevamo farci mancare il gulasch: infatti abbiamo chiesto e trovato un ristorante tipico ungherese e siamo sprofondati in una piattata di gulasch con knödel e panna acida, accompagnato da un ottimo vino rosso locale ed acqua ghiacciata.

Mi ha sempre raccontato mio marito di ricordare che, durante il periodo passato da bambino ad Abbazia, il suo nonno, con grandi baffi alla Francesco Giuseppe, alle dieci di mattina si preparava da solo il gulasch, lo consumava seduto a capo della lunga tavola da pranzo, per poi tornarsene nella sua stanza dove raramente ai bambini era permesso entrare, per cui questa figura di nonno era sempre rimasta un po’ misteriosa, circondata da un alone di odori particolari, quelli del gulasch mischiati a quelli delle fumenta per l’asma, che intridevano gli spessi tappeti che ovattavano i suoni nella sua camera.

Slovacchia, racconto di un viaggio
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Sia nel viaggio a Dortmund, che in quello in Montenegro, che in questo, tante cose mi fanno ricordare mia suocera, i racconti della sua famiglia mitteleuropea, la sua giovinezza di signorina benestante ed istruita secondo la tradizione austriaca, la sua cucina che mi permette adesso, grazie ad i nomi tedeschi imparati da lei, di riconoscere con entusiasmo piatti, ingredienti o dolci che lei mi ha fatto conoscere ed apprezzare.

Quando compì 70 anni, fu proprio in un ristorante ungherese, a Milano, che i suoi numerosi figli e figlie le offrirono la festa di compleanno.

Ricordo la sua contentezza, mista ad un certo imbarazzo, per questo tuffo nella sua cultura di anni lontani, ricordo come si schermiva impacciata nello scambiare con i camerieri qualche parola in ungherese o in cecoslovacco, la lingua di sua madre, sorridendo di tutti gli intrecci tessuti dalle sue numerose parentele ed origini.

Era il 1970. Oggi Budapest ha fatto rifiorire in me, con la consistenza della realtà, ricordi sopiti, memorie accantonate sotto il peso di altri pensieri, altre preoccupazioni, altri futuri.

I morti muoiono veramente quando noi li facciamo morire, dimenticandoli. In questi giorni la presenza de "la rosa di Abbazia", come chiamavano mia suocera da giovinetta per la sua languida bellezza e come testimonia l’antica fotografia che mio marito tiene nel suo studio, mi ha accompagnato, e forse guidato nella scoperta del suo mondo e della sua trepida giovinezza.

Questo è il viaggio delle tre città: Vienna, che ci ha immalinconito per il suo splendore fané ed il suo romanticismo smarrito, Bratislava, che ci ha sorpreso con la sua grazia e Budapest, che ci ha sbigottito con la sua maestosità. Tutte e tre le città blandite, lusingate, impreziosite da un sontuoso Danubio dall’incedere verde, calmo e possente.

Come il Guadalquivir ed il Reno, il Danubio ci ha accompagnato nel nostro viaggio offrendoci immagini di riposante bellezza e grandiosa architettura, come il Parlamento di Budapest, che mi scorre davanti agli occhi proprio in questo momento, con 361 guglie, centinaia di stanze, numerosi cortili interni ed il cui costo avrebbe potuto coprire la spesa necessaria per costruire una cittadina da sessantamila persone.

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Ponte delle catene a Budapest

Costeggiandolo, continuiamo a goderci il Danubio ed i suoi lunghissimi ponti di ferro: il Magrit Hid, il Ponte delle Catene, quello tinteggiato di verde e quello tinteggiato di rosso.

Pieghiamo a destra, voltando le spalle al Danubio, diretti verso casa

E’ stato anche il viaggio delle tre lingue.

Dopo il viaggio a Dortmund, con il tedesco ci sentiamo quasi in famiglia, con lo slovacco è stato arduo, ma l’abbiamo fronteggiato, con il magiaro, lingua del gruppo finnico, siamo quasi arrivati alla disperazione…finché, quando al crepuscolo di un cupo pomeriggio di pioggia a scroscio, dopo la prima frase compiuta: "Egy camping közeli Budapest", siamo riusciti a trovare e raggiungere il Camping Romai Fürdo (effettivamente vicino ai ruderi delle Terme Romane), ci siamo quasi sentiti a casa!

Giovedì 9 ottobre 2004, partenza h. 9,10 Km 1.385

Don Antonio Ecovip Camper, asciugatosi e ritempratosi dopo la sua notte da tregenda, ci trasporta sulle strade magiare con la criniera al vento e la coda eretta.

Abbiamo finalmente capito, imparato e fatto la "matrica vignette" per circolare sulle autostrade: è un adesivo con cui abbiamo decorato la fronte di Don Antonio e che ci permetterebbe di viaggiare per dieci giorni su tutte le autostrade magiare alla modica spesa di 11 euro...ma non abbiamo altri dieci giorni di tempo da dedicare a vagabondaggi in Ungheria, quindi via, avanti verso casa, districandoci in mezzo a limiti di velocità all’incontrario: 60 Km nelle strade extraurbane e 70 Km in pieno centro, lungo le sponde del Danubio.

Siamo partiti malati ed incoscienti, ritorniamo sani, saggi e compiuti (almeno fino alla prossima volta).

Abbiamo esaurito diligentemente gli antibiotici, sorseggiato sciroppini come bicchierini di ottocentesco rosolio e succhiato caramelle quando gli attacchi di tosse stizzosa ci squassavano. Torniamo tutti ordinati e rimessi a nuovo, con qualche piccolo esito in via di risoluzione.

Siamo partiti con due cagne in calore, torniamo con tre, infatti Caramella, ormai completamente inserita nel manipolo viaggiante dell’"orda selvaggia", si è associata alle due "calorose" per simpatia.

Corrugato e ventoso come un mare in burrasca, il lago Balaton ci regala un’ultima, inaspettata emozione di selvaggia, grigia bellezza.

Dalle pianure slovacche e magiare battute da venti e da scrosci violenti di pioggia alternati a sprazzi di sole abbagliante, siamo passati nella pianura croata, a nord di Zagabria, diretti verso la Slovenia, accompagnati da un sole ottobrino incapsulato in un cielo azzurro pallido, cosparso di nuvole, vaporose di vento e di luce.

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Lago Balaton

Avvicinandosi all’Italia, il territorio sloveno diventa sempre più collinare e montagnoso e s’ammanta di fitti boschi, già tinti d’autunno. Il sole basso sull’orizzonte emana strisce dorate che pennellano un cielo di trasparente celeste. Il nostro "Bel Paese" si annuncia da lontano, con i colori dei suoi cieli, dei suoi mari, del suo clima mite.

Non ci siamo lasciati sfuggire le notizie degli eventi italiani né a Vienna, né a Bratislava, né a Budapest. Senza televisione, senza radio, senza italiano, ci restava solo il conforto, la sera, di poterci leggere il giornale a voce alta, compiacerci una volta di più nell’apprendere che a casa andava tutto bene e quindi distenderci, tranquilli e rassicurati, nei nostri loculi a sognare del nostro futuro.

C’è giunta notizia di qualche "basta" detto dagli Italiani, ma sono scaramucce di poco conto e neanche troppo attendibili. L’importante è che tutto l’impianto politico continui a funzionare e ci porti verso il nostro destino di gloria. Forse.

Dopo un tramonto glorioso sta calando la sera (…naturalmente mi riferisco al paesaggio…) e con essa si avvicina il momento dell’ultima cenetta in camper, fra una cagna e l’altra, fra una richiesta di bocconcini e l’altra, fra una "estrosità" dovuta alle femmine in calore e l’altra.

Mentre il sole si esaurisce strisciando l’orizzonte con pennellate d’arancio dorato, dall’altra parte del cielo la luna piena sale imperiosa a dominare la notte.

Le pianure continentali spazzate dai venti sono lontane, dietro di noi, il vasto Danubio che soltanto stamattina avrei potuto toccare, se solo fossi scesa dal camper, è già un ricordo ed il lago di Balaton un’imprevista emozione che ci ha colpito in pieno petto.

Venerdì 10 ottobre 2004, partenza h. 9 Km 1.986

Insieme all’asfalto ci corrono incontro veloci i nostri doveri, i nostri compiti, i nostri impegni, le nostre zavorre,

"Oh, potessi lasciare in Slovenia il mio nappone!.." ho sospirato mentre, passando la frontiera, truccavo la mia faccia riflessa allo specchio. Ma così non sarà e l’Italia accoglierà ancora una volta la sua affezionata figlia tutta intera.

E’ bello partire, evadere, dimenticare; è bello tornare, ritrovare, ricordare.

Vzpomínat na: ricordare. Sì, ricordare il vento della pianura collerico e penetrante, l’eleganza malinconica di Vienna, la distensiva, ironica tranquillità di Bratislava, la sconcertante, alterna dominanza di Buda e Pest.

Ricordare il sapiente scorrere di un fiume, il Danubio, che con la sua generosità fece sorgere sulle sue rive città tanto belle e ne scrisse la storia, ricordare gli odori caldi e speziati della cucina mitteleuropea, gli aromi sottili e delicati della sua raffinata pasticceria, che in un soffio mi hanno riportato indietro di quarant’anni, a Milano, nella cucina di mia suocera quando, fidanzatina timida ed insicura, mi affacciavo su di un mondo estraneo, lontanissimo dalle mie origini "etrusche".

Ricordare gli spazi delle pianure dal clima inclemente, ostile, che i popoli del centro Europa han dovuto sopportare ed affrontare per assicurarsi la sopravvivenza e per tracciare la loro storia. Popoli fieri, alteri, coraggiosi e feroci, dediti a sfrenate scorribande nelle puszte in groppa ai loro cavalli selvaggi.

Molto meno selvaggio, ma anche lui con la criniera al vento, Don Antonio Ecovip Camper galoppa verso casa.

La campagna veneta, bella nella delicatezza dei suoi colori sopiti, ci scorre a fianco.

Questa è la terra di mio suocero e di mio marito, la cui cultura, intrecciatasi con quella confinante mitteleuropea di mia suocera, produsse un incrocio di tradizioni e di comportamenti molto precisi, attenti e riguardosi. Comportamenti che ho ritrovato in pieno a Bratislava: non facevamo in tempo a salire su di un mezzo pubblico, che subito i giovani scattavano in piedi, come sospinti da una molla, per cederci il posto a sedere, anche quelli con il piercing.

Era così anche a Milano negli anni cinquanta, poi l’educazione si è "imbastardita", per non dire smarrita, soverchiata dalla fretta, dalla folla, dalla disattenzione.

Vzpomínat na: ricordare. Ricordare è arricchimento interiore, è affinamento di sensibilità, è allargamento di tolleranza. E’ amore e pianto senza lacrime per chi è passato nella nostra vita regalandoci affetto, insegnandoci a conoscere parole, profumi, sapori e consuetudini diverse, consegnandoci esperienze e racconti che hanno contribuito a fare di noi le persone che siamo adesso.

VZPOMÍNAT NA

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