Nicola Uneddu, le opere
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Esiste una dimensione in cui misteriosamente coesistono il nostro mondo interiore (con le sue paure e le sue nostalgie), ed il "Mondo" che sta al di là dell'apparenza delle cose, un "Oltre" che ci sovrasta, di cui il dato ottico-sensoriale immediato non è che l'involucro o se vogliamo la propaggine più esterna che vela e rivela allo stesso tempo.
Dipingere è per me il tentativo di evocare con il colore un'immagine che sia la meno inadeguata possibile di quest'Oltre, o almeno dei brandelli di esso. Percio' non imitare la natura, ma attraversarla...
L'impossibilità di sondare esaurientemente la realtà del fatto artistico (nel senso di poterla circoscrivere nei suoi aspetti piu' profondi: la genesi del colore e delle forme; il "luogo", se così possiamo chiamarlo, cui tutto ha origine), è un dato di fatto col quale mi scontro quotidianamente. Sono convinto che l'opera d'arte non sia soltanto un prodotto psichico (il che già di per se non sarebbe poco!), ma per dirla con Gombrich "c'è nel fatto artistico qualcosa di oggettivo che lo affranca dal soggettivismo, dalla mera espressione di se e dell'esibizionismo".
Mi piace credere che la questione si ponga in questi termini o forse semplicemente non riesco, o non voglio, accettare che sia meno di così.
E' all'interno di questo orizzonte che si collocano i vari problemi di ordine tecnico formale, la scelta dei mezzi e dei temi, scelte probabilmente libere ed obbligate al tempo stesso.
Quindi l'Arte e' quel "Luogo", quella "terra di nessuno" in cui puo' accadere (dico "puo' accadere", poiche' non e' affatto garantito, ma forse e' colto solo come una speranza o una promessa), che il mondo visibile ed il mondo invisibile, quello prettamente spirituale (ma non per questo meno reale e concreto), vengono a contatto; come in una terra di confine o una "soglia" in cui l'Essere si manifesta.
Dipingere equivale quindi in qualche modo ad un "viaggiare", ma il viaggio ha senso se presuppone un ritorno...
Nicola Uneddu
Se l'oggetto dell'operato artistico è l'Essenziale e così per me, allora altrettanto essenziali debbono essere gli elementi, i dati costitutivi, la Forma (in tutte le valenze che il termine possiede), la "risultante finale", cioè l'Opera. E' per questo che la forma è minimale, niente in più può esservi, poiche' ciò che è superfluo non è soltanto inutile ma dannoso, perchè ostacola ciò che per sua natura non può avere orpelli o lacune. Si può fare e usare dell'Arte per molti fini, tutti legittimi e giustificabili presumo ma"... io so... la mia vita non ha l'innocenza dell'infanzia. Ho visto abbastanza per sapermi complice del male che sembra ahimè prevalere nel mondo ..." (Christian de Cherge' monaco ucciso in Algeria 21/05/1996 con altri sei confratelli). Perciò usando del titolo di una mia opera, preferisco una "Elena... dolorosa Elena", che della Bellezza ancora afferma l'ontologica necessità e presenza insieme, ai levigati sentieri dei luoghi comuni e all'assordante cicalio del "migliore dei mondi possibili" che noi uomini "illuminati" e tecnologici abbiamo costruito.
Lunga l'attesa, quieta... paziente..., ma breve, affilata la parola.
(1997)
Procede in due direzioni il dardo della conoscenza, una verso il bersaglio
forse, l'altra verso l'arciere, sicuramente. In ogni caso la prima presuppone sempre la seconda.
(1999)
L'Opera ha bisogno solo di se stessa, non di tante
spiegazioni, un buon titolo è
sufficiente, e anche questo non deve essere un libretto delle istruzioni
(1999).
E' dal Mistero dell'Essere che l'Arte ha
origine, l'opera non va "spiegata" ma guardata, per quel che è possibile si spiega da se, essendo frutto del Mistero soffre le parole inutili, abbisogna
solo di sguardo. Forse che la Nona o il Requiem si possono raccontare?
(1999)