Alcune stime sui potenziali residui del settore vitivinicolo a livello nazionale indicano una disponibilità di circa 1,3 milioni di tn annue di sostanza secca, quasi completamente inutilizzate, una produzione che potrebbe sostituire teoricamente circa 80.000 ha di colture energetiche, e 2,4 ml di tn di sottoprodotti della vinificazione, che risultano per ¾ inutilizzati. Il vantaggio a livello ambientale del recupero a fini energetici di queste biomasse è evidente, in quanto da un lato la loro produzione non entra in concorrenza nell’uso dei suoli con le produzioni alimentari e dall’altro - trattandosi di residui del processo produttivo agricolo o industriale - risolve il problema di sottoprodotti che, se non sono disponibili per degli usi alternativi, devono essere comunque smaltiti.
Ormai a livello internazionale è riconosciuto il potenziale dell’agricoltura nella produzione di energia da fonti rinnovabili tale da innescare un dibattito sulla competizione nel settore agricolo tra produzioni destinate all’alimentazione e produzioni a scopo energetico. Un secondo aspetto meno conflittuale da non sottovalutare è quello della valorizzazione energetica delle biomasse residuali di origine agricola, cioè sia i residui agricoli derivanti dalla raccolta di prodotti per uso alimentare sia i residui derivanti da processi produttivi agro-industriali. Nel settore vitivinicolo sono presenti da un lato i residui della potatura (sarmenti) tra le biomasse di origine agricola e dall’altro i sottoprodotti della vinificazione (vinacce, raspi e fecce) tra i residui della trasformazione agro-industriale.
ll Piano di Azione Nazionale per le Fonti Rinnovabili (PAN), infatti, stabilisce un obiettivo di produzione di energia da fonti rinnovabili pari al 17% dei consumi finali di energia al 2020. Le rinnovabili termiche (biomasse, geotermia, calore geotermico, pompe di calore, calore solare) è previsto che forniscano un contributo di circa 10 Mtep equivalente a circa il 45% dell'obiettivo al 2020 (circa 22 Mtep). Il loro utilizzo darebbe la possibilità di produrre energia elettrica o termica sostituendo fonti non rinnovabili e, a livello di singola impresa, potrebbe costituire un’integrazione al reddito attraverso un incremento dei ricavi (vendita dell’energia) o attraverso risparmio di costi (autoconsumo dell’energia prodotta).Il concreto utilizzo dei residui e dei sottoprodotti della filiera a fini energetici ha in Italia ancora una diffusione molto limitata, perché si scontra principalmente con problematiche di tipo organizzativo e di tipo economico, quali la gestione della fase di raccolta o la possibilità per le imprese di trasformazione di approvvigionarsi di altre tipologie di biomasse a costi minori. In generale gli aspetti da prendere in considerazione quando si affronta il problema del riutilizzo dei residui a fini energetici sono di diverso tipo:
Nonostante i primi approcci sperimentali con la materia recupero energie da biomasse vegetali sia iniziata circa 35 anni fa purtroppo in Italia non ha avuto la diffusione e l’applicazione come negli altri paesi europei come Francia, Germania, Austria e paesi nord europei.
Per un’agricoltura migliore in vista della riforma della Politica Agricola Comune 2014-2020 è necessario:
1) garantire la fertilità dei suoli anche con i concimi organici da lettiere di animali;La produzione di residui da potatura presenta una certa variabilità secondo i sistemi di allevamento, il vitigno, l’area geografica, le pratiche agronomiche utilizzate ed anche secondo l’effettiva possibilità di raccolta (sesto di impianto, pendenza dei terreni, ecc.). Più che una stima a livello nazionale o regionale possono quindi risultare utili indagini a livello locale finalizzate alla verifica dei potenziali di produzione di sarmenti in ogni specifico sistema territoriale ed organizzativo. Quasi sempre i residui di dimensioni maggiori vengono raccolti e utilizzati come legna da ardere, ma questo riguarda solo una piccola percentuale della biomassa totale; i sarmenti restanti devono comunque essere asportati, in quanto costituiscono un intralcio a tutte le operazioni successive, visto che il tempo di naturale degradazione avviene nel giro di anni; i produttori hanno solamente due alternative: portare fuori dal vigneto e bruciare i sarmenti (pratica in molte regioni vietata, oltre che costosa e potenzialmente dannosa) o trinciare il prodotto ed interrarlo per le lavorazioni successive (pratica però sconsigliabile dal punto di vista agronomico, in quanto aumenta il rischio di diffusione di fitopatologie).
La fase di raccolta e trasporto può essere gestita da contoterzisti, in alcuni casi anche con il conferimento gratuito della biomassa da parte dell’agricoltore, che si vede comunque sollevato dai costi di smaltimento. Il vantaggio del ricorso al contoterzismo è legato anche al fatto che macchine flessibili possono essere adattate alla raccolta non solo delle potature viticole ma anche di quelle olivicole e frutticole e di fusti di colture da campo (pomodoro, patate ecc.); lo sfasamento temporale della raccolta permette di aumentare i giorni di lavoro delle macchine e quindi di ripartire maggiormente i loro costi fissi. Nelle strutture cooperative il vantaggio economico per il socio conferitore della biomassa è dato inoltre dal risparmio dei costi energetici da parte della cooperativa o dai ricavi ottenuti dalla vendita dell’energia o ancora dall’approvvigionamento privilegiato di energia per la propria azienda agricola.
Più che gli aspetti tecnici o i calcoli puramente economici sono però gli aspetti organizzativi l’elemento chiave per l’affermarsi di questo sistema di recupero delle biomasse: il coordinamento della raccolta e del trasporto, l’approvvigionamento della centrale di produzione di energia, la distribuzione dei benefici lungo la filiera tra i diversi operatori (agricoltore, contoterzista, impresa di produzione di energia): la gestione del processo in una struttura cooperativa può facilitare la soluzione di questi problemi organizzativi, andando a chiudere il ciclo produttivo: raccolta e conferimento, produzione di energia e utilizzo della stessa anche perché le strutture associazionistiche come le cooperative spuntano prezzi più stabili e concorrenziali ed aggiungono quindi al prodotto finale quel plus valore dato proprio dal maggiore prezzo di mercato. Il sistema produttivo nazionale pertanto, evidenzia un 50% dell’uva che viene prodotta nell’ambito di cooperative, che a loro volta solitamente operano in un territorio circoscritto e ad alta vocazione produttiva.
Le criticità riguardano le tecnologie di conversione dei prodotti e le dimensioni produttive degli impianti. La tecnologia della conversione energetica delle biomasse è particolarmente avanzata ed in continua evoluzione.
I processi di conversione energetica delle biomasse sono molto diversificati, ma
per quanto riguarda quelle lignocellulosiche possono essere principalmente ricondotte
a due gruppi: impiego di caldaie integrate con macchine a ciclo Rankine o Stirling
per la conversione dell’energia termica in energia meccanica e poi elettrica, che
sono le tecnologie oggi generalmente utilizzate; sistemi di gassificazione delle
biomasse ed utilizzo di motori o turbine a gas, tecnologie sperimentate con iniziative
pilota ma non ancora diffuse a livello commerciale.
Il rapporto tra tecnologia utilizzata e dimensioni dell’impianto deve tener conto
delle problematiche organizzative di raccolta e conferimento e in generale dell’ampiezza
del sistema produttivo di riferimento in termini di superfici coltivate (es. dai
produttori afferenti a una cooperativa oppure dai produttori di certo sistema territoriale
ad alta vocazione viticola). Utilizzare impianti efficienti ma di piccola taglia
è infatti uno degli aspetti fondamentali per poter gestire in modo integrato il
ciclo di produzione di energia a livello di sistema territoriale o aziendale.
In particolare le tecnologie relative al primo gruppo considerato comprendono caldaie di piccola (15-100 kW) o media taglia (da 100-200 kW a qualche MW) che sono utilizzate per la produzione di energia termica e accoppiate a sistemi ORC (macchine Rankine a fluido organico) per la produzione di energia elettrica, a servizio, rispettivamente, o di singole utenze (es. un’azienda agricola) o di utenze collettive di tipo civile o utenze industriali (es. una cantina cooperativa). Dimensioni maggiori di impianti possono essere invece utilizzate per reti di distribuzione di energia o reti di teleriscaldamento. Anche le tecnologie del secondo gruppo possono riguardare impianti di piccola media taglia (500-1000 kW) anche se il loro impiego è ancora a livello sperimentale.
Se ad esempio una caldaia con una potenza pari a 400 kW soddisfa le esigenze di riscaldamento e di raffreddamento dell’azienda agricola vitivinicola e le esigenze di produzione di vapore e di refrigerazione legate al processo produttivo (sterilizzazione bottiglie, produzione di acqua refrigerata per il processo di vinificazione) la caldaia utilizzerà una quantità di biomasse di circa 150 tn/ anno, derivante da una superficie vitata di oltre 200 ha e una produzione di sostanza secca di 0,70-0,75 t/ha, con una produzione energetica di 720 MWh annui.
La produzione di energia elettrica consente di coprire anche se parzialmente i fabbisogni energetici dell’impresa. Nel caso di imprese cooperative con una superficie ad esempio di 3.000 ha di superfici, di cui 1.000 a vigneto (anche se la raccolta riguarda al momento solo una parte delle superfici) e con una caldaia di 60 kW riscalda i propri locali e fornisce calore, attraverso l’installazione di caldaie ad alta efficienza, ai propri soci.
La biomassa fornisce energia originatasi attraverso la fotosintesi. Il contenuto di energia rimane quando le piante sono trasformate in altro materiale come carta, reflui animali o altre forme di energia che usiamo tutti i giorni, come l’elettricità o l’energia di trasporto prodotta dai biocarburanti.La chiave per accedere al contenuto di energia delle biomasse è di convertire il materiale grezzo in una forma utilizzabile, come la combustione o i processi bio o termochimici. La produzione di energia elettrica in Italia, tramite impianti alimentati da biomasse, è quasi quadruplicata dal 2000 al 2008.
Il recupero a fini energetici delle biomasse derivanti dai residui di origine agricola nel settore vitivinicolo può essere conveniente dal punto di vista economico oltre ad avere effetti positivi dal punto di vista ambientale.
La limitata diffusione di tali sistemi è da ricondurre principalmente a problematiche di tipo organizzativo, dato che per quanto riguarda gli aspetti tecnologici esistono già tecnologie consolidate e delle nuove si stanno sviluppando a livello sperimentale. La realizzazione di una filiera finalizzata al recupero dei residui della potatura ha un carattere integrativo rispetto agli altri aspetti produttivi ma può fornire un utile contributo alla diminuzione dei costi energetici e generare ulteriori ricavi per le imprese. La sua strutturazione richiede principalmente un sistema di imprese viticole organizzato e concentrato territorialmente, che garantisca un approvvigionamento di biomassa in grado di rendere convenienti gli impianti di produzione di energia e minimizzare al contempo i costi di trasporto. Queste condizioni sono però abbastanza comuni nel sistema produttivo italiano, grazie soprattutto alla diffusione di un sistema cooperativo sviluppatosi su base locale e comunque di aree territoriali a forte vocazione e concentrazione produttiva, dove i produttori già hanno sviluppato altre forme di organizzazione.
Gli aspetti critici riguardano soprattutto le scelte tecnologiche e di dimensionamento degli impianti di trasformazione, la possibilità di commercializzazione dell’energia elettrica e termica prodotte, l’organizzazione e le tecniche di raccolta e conferimento delle biomasse. E’ necessario a questo proposito ricorrere a figure specializzate che operino come contoterzisti, autonomamente o nell’ambito della struttura cooperativa. Coldiretti ha firmato un accordo con Enel per la realizzazione di impianti in grado di produrre energia elettrica da biomasse. L'accordo prevede lo sviluppo di centrali a biomasse alimentate da prodotti della filiera, nel caso specifico biomasse solide di origine agricola e biogas. In particolare, Enel Green Power (EGP) per Enel, e Consorzi agrari d'Italia (Cai) per Coldiretti, svilupperanno congiuntamente progetti che puntano ad incentivare filiere agro energetiche locali, così da creare veri e propri distretti agroenergetici.
"Costruire filiere italiane anche nel settore dell’energia – ha affermato Pierluigi Guarise, presidente del Consiglio di Gestione di CAI – è l'obiettivo che stiamo perseguendo per dare concretezza alla volontà di sostegno efficace all'agricoltura italiana. La presenza di Consorzi Agrari d'Italia potrà essere un elemento di garanzia per una presenza equilibrata di impianti sui diversi territori e una certezza di un buon utilizzo delle biomasse, a cominciare dai sottoprodotti di lavorazione delle principali produzioni agricole".
I singoli progetti a biomassa saranno messi a punto attraverso società di progetto dedicate, partecipate integralmente dalla nuova joint venture. I partner svilupperanno le iniziative scegliendo le filiere più adatte ed inserendole nel contesto geografico migliore per la valorizzazione e l'integrazione con le economie locali, facendo leva sulla leadership tecnologica di Enel Green Power nel settore delle rinnovabili e sulla capacità dei Consorzi agrari d'Italia di strutturare accordi di filiera per l'approvvigionamento delle biomasse. Per l’economia nel suo complesso, le energie rinnovabili suscitano un grande interesse per due obiettivi strategici: la necessità di contribuire alla riduzione della dipendenza energetica e l’impegno a concorrere al contrasto dei cambiamenti climatici.
In agricoltura sono diverse le cause che spingono ad adottare sistemi ecosostenibili di produzione. L’Unione europea opta per una filosofia di multifunzionalità e di sostenibilità del nostro modello di sviluppo agricolo. Dal Consiglio di Goteborg del 2001 fino alle ultime riforme della Pac. L’attenzione della politica, il forte interesse e il proliferare di convegni sul tema delle agroenergie, accompagnati dalle difficoltà operative a percorrere questo sentiero di sviluppo, hanno generato una serie di pressanti domande nel mondo agricolo:Lungo la filiera delle rinnovabili si va dalla utilizzazione dei reflui zootecnici alle colture dedicate (mais, soia, sorgo, triticale, oleaginose,colture arboree legnose); dalla filiera del legno a quella degli oli vegetali; dai residui delle potature al colza per il biodiesel; dal fotovoltaico sui tetti dei fabbricati rurali alle serre ed altre strutture rurali fotovoltaiche.
Le agroenergie possono valorizzare le economie locali, come nel caso dell’utilizzo dei residui di essenze forestali o di reflui zootecnici o dei pannelli fotovoltaici integrati nei fabbricati rurali. Le principali politiche agroenergetiche prevedono l’obbligo di acquisto dell’energia elettrica da fonte rinnovabile a prezzi incentivati o l’obbligo di miscelazione di biocarburanti nei carburanti fossili; questa politica non grava sui bilanci dello Stato e dei contribuenti, ma sui consumatori. La politica italiana stimola l’espansione della produzione di energia rinnovabile per i suoi benefici ambientali e di approvvigionamento energetico, ma nel contempo gli incentivi e l’eccesso delle norme burocratiche favorevoli all’impianto dei sistemi di produzione da rinnovabili appesantiscono un po’ tutte le procedure di autorizzazione e conseguente installazione.
Dott.ssa Antonella Di Matteo